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I sapori della salute: i tonici amari nel contesto delle medicine naturali

Introduzione
In questo articolo, dopo aver brevemente illustrato il funzionamento della percezione gustativa, partiremo con l’affrontare il significato generale del sapore in rapporto allo stato di malessere-benessere dell’organismo (prendendo spunto da alcune considerazioni che fa la d.ssa D. Arcari Morini, fondatrice della bioterapia nutrizionale), approfondiremo il quadro con brevi accenni alla medicina tradizionale cinese ed all’omeopatia, per poi concludere con l’impostazione erboristica.

Nozioni di anatomia e fisiologia
La struttura anatomica fondamentale che consente la percezione del gusto, collocata a livello delle papille linguali (ma anche a livello di pilastri tonsillari, epiglottide e palato molle), è chiamato bottone o gemma gustativa (si stima in 10.000 il loro numero complessivo nel cavo orale), dotate di un poro di accesso, nella quale le cellule sensoriali, dotate di microciglia ed in intima connessione con le terminazioni nervose, hanno un turnover piuttosto veloce (non superiore ad una settimana).
Dal punto di vista fisiologico si ritiene che esistano quattro sensazioni gustative fondamentali, dai quali, per combinazione, deriverebbero tutti i differenti gusti:
1. sapore acido, la cui intensità e circa proporzionale al logaritmo della concentrazione di ioni idrogeno (di solito è necessario un pH non superiore a 4 per attivare la percezione); tale gusto è localizzato soprattutto lungo il margine laterale della lingua; spesso il gusto acido (riferendosi agli acidi organici, responsabili spesso del gusto) si accompagna a retrogusto amaro o dolce;
2. sapore salato: dipende dai sali ionizzati (specialmente i cationi metallici); la capacità di percezione di tale gusto è diffusa un po’ su tutta la lingua, tuttavia la punta sembra un po’ più sensibile al salato ed al dolce; anche il salato, soprattutto a basse concentrazioni, si accompagna o è soppiantato da gusti dolciastri o amari;
3. sapore dolce: lo danno solitamente composti organici contenenti gruppi alcolici e/o carbonilici, tuttavia possono esserci anche sali inorganici capaci di produrre questo gusto (es. di Piombo o Berillio); la parte anteriore della lingua è particolarmente sensibile al dolce; alcune sostanze dolci sono in grado, successivamente, di produrre un retrogusto amaro;
4. sapore amaro: lo danno spesso sostanze organiche contenenti atomi di azoto (es. alcaloidi) o lunghe catene; la parte posteriore della lingua (papille circumvallate) è particolarmente sensibile all’amaro, tuttavia la soglia di sensibilità per questo gusto è molto più bassa rispetto a quella riscontrata per gli altri gusti; un amaro intenso induce il vomito e ciò è in accordo con la funzione conservativa assegnata a tale gusto, in quanto non si deve dimenticare che molti alcaloidi vegetali hanno effetti molto potenti e non di rado tossici.
In linea di massima, nessuna di queste percezioni è esclusiva di un solo tipo di bottone gustativo, per cui l’elaborazione statistica e nervosa della percezione da parte delle strutture nervose è essenziale per produrre il sapore finale con una determinata dominanza; l’effetto della concentrazione di una determinata sostanza sul gusto è valido entro certi limiti, in quanto esiste una notevole e rapida capacità di adattamento alla sensazione gustativa (che si realizza, probabilmente, a livello centrale), senza contare il fatto che uno stesso gusto poco intenso può risultare di gradimento (ed effetto percettivo) differente rispetto allo stesso gusto più concentrato.

Aspetti generali
Le variazioni di appetibilità dei cibi possono fornire delle importanti informazioni sullo stato di salute interno all’organismo.
Questo aspetto è particolarmente importante soprattutto per evidenziare quei malesseri e disfunzioni, non ancora patologici (cioè non qualificati da uno specifico danno o aspetto lesionale), ma suscettibili di ulteriori evoluzioni che possono degenerare in palesi (e non più, talvolta, reversibili) stati di malattia.
In parallelo, il sapore dei cibi, aldilà dei contenuti specifici in componenti nutrizionali (e nutraceutici) di ciascuna pietanza, è molto probabile che trasmetta una informazione modulatrice e regolativa all’organismo, tramite complessi meccanismi riflessi neuroendocrini, oltre che mediante altri canali accessori (via olfattiva, via sublinguale, ecc.)
L’appetibilità dei cibi varia in relazione al benessere interno dell’organismo, oltre che di altri fattori come la variazione di composizione della saliva.
A questo punto è necessaria una breve digressione sul modo di intendere il rapporto tra benessere, stato disfunzionale e malattia.
Ciascun organismo possiede un ben specifico assetto d’apparati interni, all’interno del quale ciascun organo è in grado di esercitare la sua funzione in base ad una determinata soglia “di carico” oltre la quale cominciano ad innescarsi risposte compensative e si evidenziano segnali di malessere più o meno conclamati, pur non essendoci alcuno specifico indicatore clinico univoco in grado di segnalare una patologia già in atto.
L’erboristeria di terreno di scuola francese ha l’ambizione di cercare non semplicemente il rimedio genericamente adeguato ad un ideale sintomo o problema di salute, ma la migliore soluzione di adattamento tra i rimedi vegetali e i differenti  e specifici “terreni organici” umani, ciascuno preso nella sua individualità complessiva e multi variabile.
La medicina antica ed oggi i riscontri della scienza moderna (vedi i più recenti sviluppi della PNEI o psico-neuro-endocrino-immunologia) convergono nella direzione di una visione olistica dei problemi di salute, all’interno della quale è impensabile soltanto immaginare a problemi e malattie che non siano sempre (sin dal loro sorgere) sistemiche e non localizzate semplicemente ad uno specifico organo o apparato.

Sapori e salute nella tradizione cinese
Già la d.ssa Kousmine aveva individuato nella bocca una finestra fondamentale per comprendere lo stato di benessere complessivo dell’organismo, allineandosi con quelle scuole di terapeutiche che da sempre hanno dato importanza alla singolarità della concreta infermità del paziente rispetto all’astratta nozione di malattia.
La medicina tradizionale cinese, operando molte semplificazioni, attribuendo al sapore la capacità di produrre effetti sull’energia, sui fluidi corporei, sull’equilibrio tra Yin e Yang (principi cardine della visione medica) distingue cinque sapori fondamentali corrispondenti a cinque movimenti:
1) acido;
2) amaro;
3) dolce;
4) piccante;
5) salato.
Accanto a questi individua due sapori accessori che sono
1) insipido
2) astringente.
Una descrizione esauriente del ruolo dei sapori nel sistema medico cinese chiama in causa, oltre al bipolarismo Yin-Yang, il triplo riscaldatore (struttura-funzione che presiede alle attività viscerali, regolando la gestione dei fluidi e dell’energia), la legge dei cinque movimenti (con le relative corrispondenze), l’azione energetica (Qi) e le influenze sulle energie degli organi, oltre che, naturalmente, i pareri non sempre coincidenti di differenti scuole di pensiero.
Ad esempio, rispetto al bipolarismo, l’intensità del sapore va in proporzione al carattere Yin (che aumenta in rapporto inverso col carattere Yang) ed all’azione materiale del rimedio (che procede inversamente all’azione energetica, più forte per i rimedi meno concentrati), inoltre un sapore forte esercita un effetto evacuante (mentre quello debole permeabilizzante).
I rimedi della medicina cinese esaltano gli effetti del sapore quando possiedono una natura tiepida o calda, piuttosto che quando possiedono una natura tiepida o fredda (la combinazione di sapore e natura di un rimedio è un aspetto importante); la questione si complica ulteriormente considerando le modulazioni reciproche che si esercitano, in modo mirato da parte del medico cinese, tra sapori diversi all’interno di una stessa prescrizione.
In questa sede ci limiteremo a una sommaria illustrazione dei sapori fondamentali, rimandando comunque i lettori ad altri approfondimenti.
L’acido assolve la funzione di riunire, raccogliere, riassemblare (astringente, assorbente, contrastante le perdite di liquidi); con l’amaro ed il salato svolgerebbe un effetto complessivo di tipo emetico-catartico (porta verso il basso e verso l’interno), rallentando la diffusione dell’energia, per cui andrebbe considerato (Su Wen) Yin; sul piano della legge dei 5 movimenti è in relazione (contraria) col movimento Legno, che indica il passaggio dallo Yin allo Yang, la dinamizzazione e mobilizzazione.
L’acido, in grado di inibire il dolce, agisce sul riscaldatore medio e inferiore, armonizzando e riscaldando lo stomaco ma frenando la funzione urinaria, nutre il fegato, il quale, a sua volta, sostiene i muscoli e cuore e domina gli occhi.
L’acido, inoltre, può tonificare il polmone (sul piano del movimento dell’energia) e ridurre l’eccesso di rilassamento del cuore che può produrre sofferenza dell’organo stesso.
In pratica si impiega in tutti i casi in cui vi è un eccesso di perdite (ipersudorazione, tossi o dissenterie croniche, enuresi, leucorree, ecc.).
Il sapore astringente ha effetti simili nel contrastare le perdite di liquidi.
L’amaro, per parte sua, assolve la funzione di consolidare, asciugare, addensare, favorire l’eliminazione ed il vomito; è in relazione (contraria) col movimento Fuoco, massimo Yang, massima espansione ed accelerazione; per questo solitamente si impiega, in concreto, per purificare il calore nell’eccesso patogeno di fuoco che si realizza nella tosse dispnoica, nel vomito e nella stitichezza,indirizzando il Qi verso il basso e regolarizzando gli intestini.
L’amaro, in grado di inibire il piccante, frena gli scambi a livello dei tre riscaldatori (stimolando il vomito), nutre il cuore, che genera il sangue, sostiene la milza e domina la lingua.
L’amaro (col dolce eccessivo e l’acido) ha un effetto disperdente (e disseccante, riducendone l’eccesso di umidità) sulla milza; col piccante eccessivo ha anche un effetto disperdente sul polmone, tuttavia, rispetto ad esso, l’amaro frena il flusso di energia verso l’alto che può causarne sofferenza.
L’amaro, col dolce ed il salato eccessivo, hanno (sul piano della forma) un’azione disperdente sui reni, tuttavia, sul piano dei movimenti dell’energia, l’amaro ha una buona azione consolidante e tonificante sui reni.
L’amaro eccessivo, col salato, il dolce ed il piccante, manifestano, invece, un’azione disperdente sul cuore.
Il dolce ha una funzione di sostegno, di tonificazione, rilassamento, dissipazione; col piccante (e l’insipido) svolgerebbe un’azione complessivamente dissipante, diuretica e diaforetica (porta verso l’alto e verso l’esterno), favorendo la diffusione dell’energia,  e sarebbe da considerare Yang; è in relazione con caratteristiche analoghe al movimento Terra, trasformazione e distribuzione verso la periferia.
Il dolce, in grado di inibire il salato, umidifica e rilassa il riscaldatore medio (favorendo la disbiosi intestinale e disturbando, con la dilatazione dello stomaco, il cuore) nutre la milza che nutre la carne (connettivo), sostiene il polmone e domina la bocca.
Il dolce può armonizzare e rilassare anche le sofferenze di un fegato “compresso”.
In pratica si usa in diversi stati carenziali, tossi secche, stitichezza da feci secche, stati acuti e dolorosi o, talvolta, di intossicazione.
Il piccante svolge una funzione disperdente, dissipante, mobilizzante dell’energia e del sangue, nutritiva, leggermente tonica, diaforetica; è in relazione (contraria) con l’elemento Metallo, che indica il passaggio dallo Yang allo Yin, con funzione condensante.
Il piccante, in grado di inibire l’acido, stimola il riscaldatore superiore (che raccoglie e nutre lo Yang), nutre il polmone, che nutre la pelle, sostiene il rene e domina il naso.
A livello dei reni il piccante ne contrasta la secchezza, che può dare sofferenza.
Il piccante ed il sapore acido in eccesso hanno un effetto disperdente sul fegato (ma il piccante può rappresentare un tonico per un fegato disperso dall’eccesso di acido).
In pratica si usa in varie affezioni esterne, stasi circolatoria, ecc.
Il salato esplica una funzione umidificante, rammollente, risolvente degli stati ostruttivi, purgante; si oppone, per l’effetto evacuante, all’insipido, con effetto diuretico; è in relazione (contraria) col movimento Acqua, massimo dello Yin, massimo della coesione. 
Il salato, in grado di inibire l’amaro, agisce sul riscaldatore medio (influenzando la circolazione del sangue), essicca le mucose, nutre il rene che nutre le ossa, sostiene il fegato e domina l’orecchio.
In pratica si impiega in tutti quei casi in cui si devono contrastare ammassi induriti, dai gonfiori ghiandolari alla stitichezza alle masse patologiche viscerali.
L’insipido contrasta gli edemi, allontana l’eccesso di umidità e favorisce la diuresi ed il benessere delle vie urinarie.
Viene anche citato il sapore aromatico (con proprietà intermedie tra sapore ed odore), con la capacità di penetrare e dissipare stati di torbidità interne, sia di tipo digestivo che mentale.
Nella medicina tradizionale cinese vi è quindi un legame diretto fra i sapori e lo stato di benessere degli organi ed apparati interni; tuttavia la funzione trofica di un sapore può essere esplicata soltanto se impiegato con moderazione (gli eccessi, anzi, possono essere fonte di malattie).

L’omeopatia a tavola
Non è questa la sede per approfondire il discorso sull’Omeopatia, importante medicina naturale basata su noti principi fondamentali come il principio di similitudine tra rimedio e affezione da trattare o quello delle dosi infinitesimali (dinamizzazioni).
In questa sede val la pena, tuttavia, ricordare che uno dei criteri di indicazione di un rimedio non è tanto il sintomo ma le modalità con cui i disturbo si presenta in un certo paziente.
L’alterazione nel gusto è una questione da non trascurare nell’accurata anamnesi omeopatica che cerca di caratterizzare al massimo il contesto da trattare, anche in considerazione del fatto che le patogenesi di molti rimedi fanno ampio riferimento a questo aspetto.
Non di rado anche la temperatura dell’alimento (o della bevanda) può avere una sua importanza.
La panoramica seguente è solo indicativa ed interessa i ceppi maggiormente rappresentativi.
Aconitum: desiderio di bevande fredde
Allium cepa: desiderio di cipolle, disgusto verso i cetrioli
Alumina: desiderio di cibi asciutti, patate, riso
Antimonium tartaricum: desiderio di frutta e di cibi acidi
Apis: assenza di sete
Argentum nitricum: desiderio di cibi dolci e salati
Arsenicum album: desiderio di sorsi di acqua fredda, latte, cibi acidi, carni grasse
Belladonna: desiderio di succo di limone, specialmente se freddo
Bryonia: desiderio di bevande fredde e di carni
Calcarea carbonica: desiderio di uova, dolci, cibi salati, latte (specie nel bambino)
Calcarea phosphorica: desiderio di carne affumicata
Carbo vegetabilis: desiderio di cibi dolci e, soprattutto, salati
Causticum: desiderio di cibi affumicati, salati, latticini, birra, disgusto verso i dolci
Chamomilla: desiderio di bevande fredde e disgusto per quelle calde
Chelidonium: desiderio di latte, latticini, cibi e bevande calde
China: desiderio di cibi dolci, salati e piccanti, disgusto per cibi caldi, grassi, pesanti, carni, frutta
Cocculus: disgusto per il cibo
Colocinthys: desiderio di pane
Cuprum: desiderio di bevande fredde
Ferrum phosphoricum: desiderio di cibi acidi, bevande fredde, disgusto per carni e latte
Gelsemium: assenza di sete
Hepar Sulphur: desiderio di cibi acidi e grassi
Hypericum: desiderio di bevande fredde, vino, sottaceti
Ignatia: disgusto o compulsione verso la frutta, desiderio di latticini
Ipeca: desiderio di dolci
Kali bichromicum: desiderio di dolci, birra e disgusto per la carne
Lycopodium: desiderio di dolci e bevande calde (comunque a temperatura non fredda),
Medorrhinum: desiderio di cibi acidi, aspri (frutta acerba), freddi
Mercurius: desiderio di pane e burro
Natrum muriaticum: desiderio di pasta, pane e sale, disgusto per cibi viscidi e appiccicosi
Natrum sulphuricum: desiderio di cibi acidi, yogurt
Nitricum acidum: desiderio di cibi grassi e salati
Nux vomica: desiderio di cibi grassi, pesanti, stimolanti (caffè, tabacco)
Phosphorus: desiderio di bevande fredde e ghiacciate, graditi anche cibi salati, speziati, piccanti, pesce, gelati e cioccolata
Pulsatilla: desiderio di cibi pesanti e cremosi (burro, gelato) ma disgusto per cibi grassi, latte e pane, assenza di sete
Rhus Toxicodendron: desiderio di latte freddo
Sepia: desiderio di cibi acidi e dolci
Silicea: desiderio di dolci e uova, disgusto verso latte e cibi grassi
Staphysagria: desiderio di dolci e latte, disgusto verso i grassi
Stramonium: desiderio di dolci, disgusto per l’acqua (ma in presenza di sete intensa)
Sulphur: desiderio di dolci, cibi grassi, piccanti, alcolici, disgusto verso uova, pesce e spremute
Sulphuricum acidum: desiderio di alcolici
Veratrum: desiderio di cibi acidi, aspri, freddi o salati
L’approfondimento del contesto specifico complessivo del paziente consente poi al terapeuta di individuare, secondo il principio di similitudine, quale sarà il rimedio (o la combinazione di rimedi) che meglio si addice al caso.

I sapori nell’indagine salutistica
Già il Guyton, nel suo trattato di fisiologia medica risalente a circa trent’anni fa, affermava che il gusto (ed il conseguente desiderio di certi cibi) non dipendeva soltanto dai personali desideri di ciascuno ma anche dalle esigenze dei tessuti verso certe speciali sostanze nutritive.
A tal proposito si citavano anche esperimenti su animali che mostravano come 
• animali privati chirurgicamente della surrenale si spingono a bere acqua a più alta concentrazione di cloruro di sodio;
• animali privati delle paratiroidi si indirizzano verso soluzioni con alta concentrazione di cloruro di calcio;
• animali trattati con elevate dosi di insulina scelgono spontaneamente gli alimenti più dolci.
Ciò non deve tuttavia banalizzare la complessità della percezione gustativa, in cui il ruolo del sistema nervoso è fondamentale nella rielaborazione del segnale:
• le fibre nervose svolgono una funzione trofica sulle strutture del cavo orale deputate al gusto: si ritiene, infatti, che dopo i 45 anni circa la sensibilità ai sapori decresca a causa della degenerazione delle papille gustative; circa un quarto della popolazione manifesta, comunque, una certa “cecità” gustativa, essendo incapace di apprezzare determinati sapori;
• vi è una influenza della esperienza emotiva precedente collegata a determinati sapori, in grado di alterare l’accettazione o il rifiuto di un determinato gusto;
• l’olfatto, senso estremamente sofisticato e potente, influenza grandemente la percezione gustativa.
La d.ssa Arcari Morini ha suggerito alcuni spunti per una indagine salutistica a partire dalla percezione dei sapori:
1. un sapore amaro, eventualmente accompagnato da xerostomia, alitosi, urine scure e di forte odore, pruriti cutanei, può suggerire uno stato di congestione epatica, meno grave se c’è un retrogusto acido, più grave se tende al gusto ferroso (spesso con alterazione di importanti parametri ematici);
2. il disgusto per i grassi può essere collegato a difficoltà nella funzione biliare o del pancreas esocrino;
3. il disgusto (specie a colazione) o la compulsione per i dolci può nascondere una cattiva tolleranza glicemica, essenziale per la funzione nervosa, cardiaca ed immunitaria;
4. il disgusto o una eccessiva sensibilità verso il salato può essere legata ad un sovraccarico o ad un problema della funzione renale (ed anche del cuore);
5. un sapore metallico in bocca può derivare da una difficoltà più grave a livello renale o polmonare.

Gli amaro-tonici di tradizione erboristica
Sotto il termine di amaro-tonici o tonico-amari si intendono molti rimedi vegetali che producono una stimolazione secretoria (della mucosa e delle ghiandole annesse) insieme ad una tonificazione generale.
Dopo il discreto favore goduto nel passato i tonico-amari sembrano aver oggi perduto, in modo incomprensibile, buona parte del consenso che l’erboristeria e la medicina gli attribuiva.
Basti pensare che lo stesso Firenzuoli, tra le piante utili in gastroenterologia, nel suo interessante “Fitoterapia” (terza Ed., Masson), non cita affatto le piante amare.
Eppure un illustre maestro del passato come Rudolf Weiss, nel suo fondamentale Trattato di fitoterapia citava, al contrario, le piante amare (Centaurea, Trifoglio fibrino, radice di Genziana), come attivatrici secretorie (per semplice contatto) ed astringenti, non solo negli stati “torpidi” delle mucose (infiammazioni catarrali croniche), nelle dispepsie croniche e gastropatie iposecretive (tra cui molte condizioni ulcerose).
Lo studioso tedesco, medico di grande esperienza e prestigio, si rammaricava dello scarso impiego di tali rimedi, nonostante il grande giovamento riscontrato dai suoi pazienti (e citava anche l’esperienza di un suo collega, Boller, in una clinica viennese).
Tradizionalmente gli amaro-tonici hanno sempre avuto fama di febbrifughi (di tale effetto vi sarebbero alcuni riscontri).
Trovano indicazioni in soggetti convalescenti, inappetenti, debilitati, spesso anziani, con rallentamento delle funzioni digestive (e ipotono parasimpatico).
L’anziano presenta, se n’è accennato, anche un calo di sensibilità gustativa (specialmente in presenza di sofferenza neurologica) e ciò va tenuto nel debito conto nell’allestimento dei rimedi.
Gli amari comportano anche una blanda decongestione della funzione epatica (con aiuto alle funzioni intestinali) e ciò può spiegare, almeno in parte, gli effetti generali legati al miglioramento dell’assetto emuntoriale (per allontanamento delle tossine), migliore risposta alle aggressioni infettive ed agli insulti infiammatori (avendo a mente le complesse funzioni del fegato rispetto alla sintesi di fattori del complemento e delle proteine della fase acuta).
Per inciso va detto come anche l’ipertono simpatico che si accompagna agli stati di stress recenti, oltre l’ipotono parasimpatico (da esaurimento funzionale) che si registra nei casi cronici, può giovarsi dell’impiego degli amaro tonici, anche se occorre evitare un’eccessiva irritazione della mucosa gastrica già sollecitata a livello neurovegetativo.
Per tale ragione, visto il contesto di riferimento, si possono utilmente associare ad altri rimedi naturali come i corroboranti (cioè ricchi in fattori micronutrizionali) come gli  estratti di acerola o rosa canina, il crescione, le sommità giovani di malva, i rimedi derivati dell’alveare (polline, pappa reale, propoli)oppure rimedi adattogeni come panax ginseng, eleuterococco, rhodiola rosea.
Va sottolineata la sinergia dei principi amari coi nutrienti liposolubili (segnatamente vitamina E ed acidi grassi insaturi), in virtù del loro effetto favorevole sulla secrezione biliare (ma serve prudenza nei sofferenti di litiasi).
Il miglioramento della funzione epatica ne suggerisce anche, in qualche caso, specialmente in soggetti reduci da pesanti cicli di terapie antibiotiche o chemioterapiche (e/o eccessivamente attratti da cibi proteici), l’associazione con rimedi capaci di ridurre il carico di azoto come la betulla o il frassino; ci aspettiamo, con tali rimedi, qualche giovamento (sia pure meno pronunciato) anche nei soggetti che hanno assunto o assumono psicofarmaci, medicamenti notoriamente in grado di alterare il transito intestinale e di influenzare l’appetito.
Un uso più razionale degli antibiotici potrebbe consigliare, almeno nei casi più banali, il ricorso a tali antichi rimedi naturali, evitando l’insorgenza di pericolose resistenze o sovrainfezioni.
Il loro modalità normale di assunzione dovrebbe essere in forma liquida (tisane o soluzioni idroalcoliche diluite) da sorseggiare lentamente un po’ prima dei pasti (non mancano comunque dati riguardo ad azioni non mediate da stimolazione riflessa boccale).
Nel loro fitocomplesso oltre a sostanze amare sono presenti anche altri principi attivi che ne possono modulare le caratteristiche in modo utile alla personalizzazione dei rimedi che si dovrebbe richiedere ad una prassi erboristica professionale.
In base alle altre sostanze presenti nel fitocomplesso si può operare una classificazione che può valere in senso operativo (non ha valore assoluto, in quanto vi sono, in concreto, caratteristiche in ciascuna pianta che possono assimilarla ad altre classi):
1. amaro puri, cui appartengono piante genziana, centaurea, trifoglio fibrino; sono gli amari per eccellenza;
2. amaro-aromatici, cui appartengono l’arancio amaro (scorze) e l’angelica; contengono anche discrete quantità di oli essenziali, che aggiungono effetti antispasmodici e potenziano gli effetti tonici e di bonifica dell’ecosistema intestinale;
3. amari mucillaginosi, cui appartiene il lichene islandico;
4. salini, cui appartengono piante come tarassaco e cicoria.
Vanno poi considerate quelle piante che svolgono altri importanti effetti ma che possiedono anche una discreta nota amara come la china, il rabarbaro, l’artiglio del diavolo e la camomilla romana.
In questa breve trattazione ci soffermeremo soprattutto sugli amari puri e, in particolare, sulle genzianacee più importanti: la radice genziana e la pianta centaurea, preparabili in tisane composte diverse in decozione (genziana) o infuso (centaurea).
La tradizione ne riporta la combinazione in tisane assieme ad altre droghe sicure come rabarbaro, scorze d’arancio amaro, coccole di ginepro, foglie di salvia o ad altre più rischiose per la salute come assenzio, calamo aromatico e camedrio.

Genziana
Pianta imponente, conosciuta anche da Dioscoride e Plinio, avrebbe preso i nome da Gezio, re dell’Illiria, sconfitto dai Romani.
Produce in estate vistosi fiori gialli all’ascella delle brattee.
La radice, raccolta a partire dal secondo anno, contiene vari principi amari di natura sia glicosidica (glicosidi secoiridoidici) che oligosaccaridica, xantoni, olio essenziale, pigmenti, tracce di alcaloidi.
Essendo spesso presente nella composizione di molti liquori preparati a livello familiare taluni ne improvvisano la raccolta, ma occorre fare attenzione a non confonderla col velenoso veratro, che possiede più o meno le stesse dimensioni ed aspetto, con foglie grandi a nervature parallele ma disposte in modo alterno e con infiorescenza a pannocchia, a differenza della specie non velenosa (ovviamente le piante secche o, peggio, le radici, si possono distinguere con molto maggiore difficoltà).
È un esempio di come non ci si debba improvvisare raccoglitori di piante medicinali e fidarsi di una sommaria somiglianza esterna.
Molto diversa per aspetto e dimensioni è la genzianella, diffusa nelle zone alpine e centrali appenniniche, di cui si usa la pianta intera come succedaneo popolare (senza dati scientifici a riguardo) della più pregiata genziana.
Gli effetti dimostrati (monografia ESCOP) comprendono:
• aumento della secrezione acida gastrica (ma non sono stati dimostrati abbassamenti del pH), della secrezione di bile (anche con effetto colagogo), di enzimi nel tenue e del secreto bronchiale (quest’ultimo effetto, in modelli animali, come quello sulla colecisti, sarebbe, almeno in parte, indipendente dalla stimolazione boccale);
• effetti di potenziamento della risposta immunitaria, con incremento dell’attività leucocitaria, diretta azione antimicotica (e antimicrobica), inibizione della secrezione di TNF e di sIgA (correlati a disturbi infiammatori gastrointestinali); l’inibizione del TNF sarebbe responsabile della inibizione della risposta dei linfociti t ai mitogeni.
Uno studio clinico in aperto su circa 200 pazienti con varie forme di dispepsia e trattati con poco meno di 600 mg di e.s. al dì, ha mostrato l’utilità della genziana nella quasi totalità dei casi (95 %); gli effetti collaterali, leggeri e poco frequenti, comprendevano gastralgie, nausea, meteorismo, emicrania.
Le viene tradizionalmente attribuita anche un’azione antielmintica.
Si considera controindicata in gastriti e forme ulcerose gastroduodenali.
Gli xantoni, per la somiglianza strutturale con la quercetina, vengono considerati debolmente mutageni (dati non confermati sull’uomo).
La tradizione consiglia l’uso, oltre che della radice essiccata e lasciata a macerare per almeno 4 ore, anche dell’enolito ottenuto per macerazione di circa 30 g di droga in 50-60 g di acquavite, da portare a volume di 1 litro con vino bianco.
Il glucoside genziopicroside subisce una importante trasformazione metabolica ad opera della flora batterica intestinale; la swertiamarina (presente anche nella centaurea) sembra essere trasformata in gentianina, ad azione sedativa centrale (utile nella modulazione dell’ipertono simpatico).  
Questo ultimo punto ci rafforza nel convincimento come la sola analisi del fitocomplesso, senza il necessario approfondimento delle complesse dinamiche che si realizzano con gli specifici contesti di terreno (es. a livello della sensibilità gustativa, dell’ecosistema intestinale, dell’efficienza emuntoriale, ecc.), possa essere foriera, nella prassi concreta, di sorprese e delusioni. 

Centaurea
Detta anche centaurea minore (nome scientifico Erythraea centaurium), da distinguere dalla Centaurea cyanus o Fiordaliso, asteracea utilizzata soprattutto per via esterna (occhio), ma talora impiegata per guarnire le miscele per tisana, oppure dalla Centaurea centaurium o Centaurea maggiore, altra asteracea utilizzata popolarmente per indicazioni simili alla Centaurea minore ma senza grandi riscontri scientifici.
È un esempio di come dietro ad uno stesso nome volgare si possono in realtà nascondere piante molto diverse tra loro; talvolta queste confusioni possono risultare anche pericolose, per cui è consigliabile, almeno nei casi critici, indicare la pianta medicinale con la sua denominazione latina completa.
Plinio racconta che la pianta prenderebbe il nome del Centauro Chirone, guarito dopo una ferita inferta da Ercole.
Si utilizza la pianta in toto (droga), anche se i fiori risultano essere la parte più ricca di principi amari, ciò va considerato nella preparazione delle tisane.
La composizione, le indicazioni d’uso e le eventuali controindicazioni la avvicinano molto alla genziana, sulla la quale, tuttavia, esistono maggiori studi.
La Campanini la consiglia, in particolare, nei soggetti colpiti da sindromi virali accompagnate da disturbi dell’apparato gastrointestinale.
Su modelli animali ha evidenziato anche azioni antiflogistiche, analgesiche ed antipiretiche, tuttavia non sono stati ancora confermati gli effetti positivi su artriti, sciatica, gotta e le qualità vulnerarie affermate dall’Antonelli, che la consigliava come rimedio domestico per tutti coloro che tendevano a problemi di fegato (1939).
Si attribuiscono dalla tradizione alla pianta anche azioni analettiche, bechiche, febbrifughe-antimalariche,  vermifughe e si trovano impieghi in dermatologia per via interna (dermopatie eczematose) oltre che esterna (piaghe torpide, alopecia).
In dosi eccessive può irritare la mucosa dell’apparato digerente e dare disturbi in soggetti predisposti (vomito, diarrea).
Popolarmente si impiega talvolta l’enolito, ottenuto per macerazione (8 giorni) di circa 60 g di droga in un litro di vino bianco; naturalmente vale qui come nel caso dell’enolito di genziana la controindicazione per i gravi epatopatici e gastropatici, nei quali sono assolutamente da evitare i preparati alcolici.

Conclusioni
Questa breve trattazione sui sapori e sugli amari di antica tradizione erboristica vuole fornire a tutti una riflessione per una scienza della salute che non sia eccessivamente irrigidita su aspetti quantitativi ed assoluti ma che riscopra anche gli aspetti qualitativi e specifici, sia dei rimedi naturali (spesso solo in apparenza analoghi) che dei diversi stati di sofferenza individuali.
L’organismo umano è in grado, rispetto agli agenti nocivi per la salute, di attivare dei complessi meccanismi di difesa che occorre valorizzare.
La vecchia teoria recettoriale, tanto utile nel passato, di cui si fa ancora ampio uso (ed abuso) nelle scienze farmacologiche, non ci aiuta nel fare piena luce su tali meccanismi che richiedono una conoscenza più ampia degli assetti organici, verso cui la PNEI (psico-neuroendocrino-immunologia) si sforza di fornire modelli più appropriati.
La percezione dell’amaro, la più spiccata tra quelle gustative, spesso legata a sostanze potenzialmente pericolose (es. alcaloidi), probabilmente rientra tra quelle stimolazioni primordiali, tra quelle informazioni fondamentali di ambiente capaci di condizionare l’evoluzione complessiva di tutto il nostro organismo verso uno stato di aumentato benessere.

Claudio Biagi
Laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, esperto di Nutriceutica (integrazione nutrizionale fitoterapica), Farmacista, Docente di Chimica, Consulente Scientifico, Accademico del Nobile Collegio Chimico farmaceutico, Docente di Fitoterapia presso SMB Italia
Direttore Didattico del Campus Laboratori Borri
doctorbiagi@gmail.com

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Claudio Biagi

Laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, esperto di Nutraceutica (integrazione nutrizionale fitoterapica), Farmacista, Docente di Chimica, Consulente Scientifico, Accademico del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis, formulatore di importanti prodotti erboristici, Docente di Fitoterapia presso SMB Italia. Autore di libri e pubblicazioni scientifiche. Docente Università Unicusano. Direttore Didattico di Campus Framens, Primaria Scuola di Naturopatia