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Realtà e Percezione: il modello narrativo della mente e le teorie quantistiche

I grandi interrogativi della vita sulle nostre origini e soprattutto sul perché e sullo scopo della nostra esistenza, oggetto da sempre delle riflessioni della filosofia, sono stati da parte della scienza visti come un luogo scuro da evitare, piuttosto che un porto sicuro.

La filosofia ricerca le risposte, ancorché parziali e non univoche, nella parte più eterea della nostra materialità, la mente, deputata, sul fronte opposto – quello della investigazione dei fenomeni della natura – a cercare risposte, spiegazioni e, attraverso la tecnica, impieghi di ogni genere per accrescere il controllo sugli eventi naturali.

Solo in tempi recenti la scienza, con le teorie e le applicazioni della Fisica quantistica, si è trovata costretta ad affrontare il tema della percezione della realtà, spinta dalla necessità di spiegare le stranezze concettuali che gli esperimenti con gli atomi mostrano rispetto al “senso comune”, aspetto che ha accompagnato con successo le interpretazioni dei fenomeni naturali di natura “macroscopica” utilizzando le leggi della fisica classica.

Così Fisica e Psiche si ritrovano, dopo secoli di rigida separazione, ad avere almeno un tema comune da sviluppare, con lo scopo di individuare una cornice condivisa in cui iscrivere, finalmente, sia i fenomeni fisici dell’ambiente in cui viviamo che quelli della nostra vita psichica. Il terreno comune, recentemente valorizzato dal progredire di alcune ricerche sulle neuroscienze, sembra essere quello della “percezione”, intesa come unico teatro in cui avviene la magia del nostro essere coscienti, senza soluzione di continuità, della dinamica del caleidoscopio in cui siamo immersi con i nostri sensi. La percezione è però variabile da soggetto a soggetto e questo passaggio, dalla spiegazione oggettiva dei meccanismi della sensazione a quelli della percezione, è un ostacolo insormontabile per la costruzione di una teoria scientifica basata sul paradigma attuale della riproducibilità dei fenomeni e che, pertanto, non può essere utilizzabile per spiegare la formazione del pensiero.

Richard Feynman, premio Nobel per la fisica, riguardo al tema del rapporto dell’individualità del soggetto con l’oggettività dei fenomeni atomici, così scriveva:

“Gli atomi entrano nel mio cervello, eseguono una danza, e se ne vanno; atomi sempre nuovi ripetono sempre la stessa danza, ricordando quella di ieri”

Naturalmente nel cammino per una comprensione completa di come si coniughino percezione e sensazione, di come il pensiero abbia origine e, di conseguenza, come possa dar luogo alle eventuali azioni con il nostro corpo fisico, stiamo muovendo soltanto i primi passi.

Confidiamo però nella volontà da parte dei filosofi, degli psicologi e degli scienziati, perché superino finalmente i conflitti di supremazia nella ricerca della verità che finora, complice un paradigma non più attendibile, ha caratterizzato i loro percorsi nella strada della conoscenza.

La ricerca più promettente in questa direzione è, a mio avviso, quella avviata da alcuni studiosi dei rami principalmente coinvolti nella problematica[1] , che riprendono l’aspetto più controintuitivo della Teoria dei quanti per farne un punto cardine da cui partire per elaborare una teoria in accordo con i risultati sperimentali riguardo alla percezione soggettiva in relazione al funzionamento oggettivo dei circuiti neuronali.

Per comprendere l’approccio metodologico seguito da questi ricercatori occorre ricordare che la fisica classica esclude categoricamente qualsiasi partecipazione da parte del soggetto che esegue la misura, o l’osservazione di un fenomeno, alla determinazione del risultato ottenuto. Viceversa, la fisica quantistica attribuisce all’osservazione, o meglio all’interazione tra il fenomeno osservato e un qualsiasi strumento o entità che possa verificarne l’effetto, l’unico accesso alla realtà effettivamente conoscibile del fenomeno stesso.

L’effetto quantistico, provato da una numerosissima quantità di sperimentazioni, è relativo all’impossibilità di determinare lo stato del sistema fisico in esame prima che questo interagisca con un’altra entità “macroscopica” (osservatore o dispositivo di misura) mantenendosi prima dell’osservazione in uno stato di sovrapposizione – e quindi indeterminazione – tra tutti gli stati possibili in quel momento per quel sistema.

Durante il processo di osservazione, secondo la teoria quantistica, viene scelto, secondo una legge probabilistica, uno dei possibili stati che sarà quello rilevato dalla misura/osservazione.

In termini fisici si dice che la funzione d’onda, che rappresenta il sistema in termini matematici, “collassa” verso lo stato osservato dalla misura.

Le ipotesi a supporto della spiegazione presentata da questi autori, in merito alla formazione del pensiero a partire dagli effetti fisiologici della sensazione, poggiano sulla validità di questa proprietà quantistica, estendendola al funzionamento della mente.

Per comprendere meglio questo assunto dobbiamo precisare che la scienza attuale è in grado di spiegare in modo esauriente cosa avviene nel cervello in tutto il percorso attraverso il sistema nervoso quando i nostri sensi avvertono un qualunque stimolo, sia proveniente dall’ambiente esterno che dall’interno del nostro corpo.

Il problema nasce, come abbiamo già accennato – ed è questo il tema principale che si trovano ad affrontare i neuroscienziati[2] – quando si prova a trovare spiegazioni, compatibili con l’attuale paradigma scientifico fondato sull’oggettività e riproducibilità dei fenomeni fisici – in merito alla formazione dei pensieri, diversi da soggetto a soggetto, a partire dalle sensazioni percepite attraverso i sensi. La teoria proposta da questi autori per superare il problema parte dall’assunto che i pensieri che possono nascere, elaborando lo stimolo sensoriale una volta pervenuto nel distretto cerebrale corrispondente, sono molteplici e corrispondono ai molti stati, non distinguibili prima dell’osservazione, del sistema nervoso centrale che obbedisce, nelle sue componenti atomiche e molecolari, alle leggi quantistiche. Sulla numerosità, tipologia e diversità da individuo a individuo di questi stati, – a partire dai quali originano i pensieri-non sono ancora state effettuate sperimentazioni mirate ma la copiosa letteratura della psicologia e della psicanalisi è in grado di fornire esaurienti spiegazioni sulla specificità della loro formazione, sia in condizioni fisiologiche che nei casi della loro degenerazione in disagi e malattie psichiche.

L’enfasi posta dagli autori citati è sulla contemporaneità di questi stati quantici potenzialmente possibili presenti nel cervello dopo l’arrivo della sollecitazione sensoriale.

Ma da questo caos quantistico come arriviamo a quel pensiero e a quella azione che caratterizza il nostro sentire in quel luogo e in quel momento come reazione specifica a partire da uno stesso stimolo sensoriale?

La chiave proposta per rispondere a questa domanda è proprio lo sforzo cosciente -dagli autori chiamato “aumento della densità di attenzione” -che poniamo allo stimolo, funzione corrispondente all’osservazione in questo caso della mente verso sé stessa, che agisce come attivazione di uno e un solo stato. Stato che corrisponde appunto al pensiero con il quale rispondiamo, univocamente e soggettivamente, a quella sollecitazione.

Questa spiegazione poggia sul cosiddetto effetto Zenone di Elea, dal nome del filosofo greco che osservò che guardando ad intervalli molto ravvicinati la traiettoria di una freccia questa ci apparirà ferma.

Trasportando questo concetto nella dimensione molecolare, si spiega, coerentemente con i risultati delle esperienze quantistiche, la presenza attiva, tramite lo sforzo ripetuto di attenzione, di quello stato del sistema sostenuto dal pensiero formulato in quel momento. In termini più tecnici si parla di “congelamento del decadimento dello stato sottoposto ad osservazione ravvicinata”.

La fisica quantistica spiega inoltre lo spegnersi, per decadimento naturale, di quel fermento caotico di pseudo-pensieri che si affastellano alla mente che corrispondono alle strutture – ovvero agli stati quantici – presenti potenzialmente nei circuiti neuronali del cervello e che rappresentano tutte le possibili risposte che siamo in grado di operare a fronte di quell’input proveniente dai nostri sensi. Va da sé che, come ci insegna la psicologia, le possibili risposte, ovvero gli “stati possibili della mente”, sono conseguenza diretta delle esperienze pregresse che abbiamo “imparato” e memorizzato nel corso della nostra vita.

Si riaffaccia così in modo ineludibile il tema della coscienza che la scienza non può più ormai permettersi di ignorare, con la prospettiva non improbabile di far assumere ad essa un ruolo determinante per un cambio di paradigma che porti a nuove, entusiasmanti scoperte lungo cammino evolutivo dell’umanità.

Prof. L. D’Abramo


[1] H. Stapp, fisico, M. Beauregard e J.M.Schwartz neuroscienziati – per approfondimenti si veda il corposo articolo: “QUANTUMPHYSICS IN NEUROSCIENCE AND PSYCHOLOGY: A NEW MODEL WITH RESPECT TO MIND/BRAIN INTERACTION “
[2] Questa difficoltà è stata analizzata dal filosofo D. Chalmers che l’ha presentata appunto come “doppio problema”, con un chiaro riferimento alla difficoltà da parte della scienza attuale di spiegare il secondo di questi problemi ovvero la formazione dei pensieri a partire dagli stimoli sensoriali.

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Luciano D'Abramo

Laureato in Fisica con lode all’ Università “La Sapienza” di Roma nel 1974, ha svolto per molti anni la sua attività professionale nell’ambito della progettazione e realizzazione di grandi Sistemi Informativi, principalmente per Enti pubblici quali la Ragioneria Generale dello Stato ed il Ministero dei Beni Culturali. Particolarmente interessato, sin dall’età giovanile, alla ricerca di una possibile sintesi tra le varie discipline scientifiche, oggi ancora troppo frammentate, ha pubblicato nel 1998 il libro “Fisica e Psiche”, trovando possibili collegamenti ed analogie tra le relazioni interpersonali e le leggi della fisica. Dal 2002 svolge interamente la sua attività professionale alla progettazione ed alla erogazione di corsi presso scuole ed istituti superiori ed universitari su materie scientifiche. Fa parte, sin dalla sua costituzione del corpo docenti e del Comitato Scientifico della Scuola di Naturopatia Borri ora Campus FRAMENS, per la quale svolge seminari e corsi di Biofisica, con particolare riferimento ad argomenti di ricerca di frontiera sulle leggi e le teorie della Fisica applicate ai sistemi viventi, riconducibili alle tecniche ed alle metodiche della medicina naturale.