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Applicazione delle Onde Elettromagnetiche in terapia

Dalla radioterapia al trasferimento frequenziale dei farmaci.

Un settore molto promettente nell’ambito della ricerca sulle nuove tecniche terapeutiche è da diversi anni rappresentato dallo studio degli effetti di deboli campi elettromagnetici sui sistemi biologici. Questo approccio ha trovato un terreno fertile per il suo sviluppo nella ormai collaudata tecnologia diagnostica a base di radiazioni e.m., che costituisce uno dei settori portanti dei servizi sanitari, invertendo di fatto l’impiego delle risorse, che si occupano di ricerca in questo campo, dai possibili effetti nocivi delle Onde Elettromagnetiche ad un innovativo metodo di terapia.

L’approccio tradizionale di queste cure, basato sulla radioterapia per distruggere le cellule cancerose, è ormai relegato a situazioni molto specifiche e impossibili da trattare in altro modo, a causa dei rilevanti, spesso particolarmente debilitanti, effetti collaterali prodotti dalla quantità di radiazioni necessarie per raggiungere risultati apprezzabili e in ogni caso non risolutivi.[1]

Va comunque ricordato che la tecnica radiochirurgica con stereotassi, basata sull’invio in un unico trattamento di una massiccia dose di radiazioni, è ancora una tecnica elettiva particolarmente efficace e poco invasiva nella risoluzione di malformazioni arterovenose o di piccoli angiomi cerebrali.

Un’altra applicazione terapeutica delle Onde Elettromagnetiche a dosi relativamente basse  che ha trovato una discreta diffusione grazie alla sua efficacia ed alla sua  invasività pressoché inesistente, specialmente nel trattamento delle patologie di origine reumatica o traumatica, è la cosiddetta Tecarterapia  che sfrutta la capacità delle Onde Elettromagnetiche, generate da un’apposita apparecchiatura, di produrre calore attraverso l’aumento delle vibrazioni molecolari nei tessuti dell’area anatomica trattata. La trasmissione di questa energia termica produce un notevole incremento dell’attività metabolica nei tessuti, accelerandone la cinetica e di conseguenza i processi riparativi e la guarigione.

La prima applicazione a carattere terapeutico di radiazioni caratterizzate da energia molto bassa risale alla fine degli anni 70, ad opera del dottor F. Morell e dell’ingegner E. Rasche che, a seguito delle ricerche e delle teorie sviluppate negli anni precedenti in diversi laboratori[2], hanno progettato e realizzato una sofisticata apparecchiatura, denominata MORA dalle iniziali dei loro nomi. Con questa applicazione, la tecnica effettua un notevole salto di qualità rispetto alle precedenti: diagnosi e terapia sono eseguite con la stessa apparecchiatura e spesso in un unico evento, anche se ripetibile in momenti diversi. Ma l’aspetto più innovativo è costituito dal fatto che la diagnosi e la conseguente terapia avvengono sulla base dell’analisi delle frequenze dei deboli campi elettromagnetici emessi dai vari organi del paziente stesso. Non più, dunque, la somministrazione di campi elettromagnetici costituiti da frequenze molto alte (raggi x o raggi gamma) stabilite “a priori” e indipendentemente dal soggetto in esame, ma analisi delle distonie rilevate attraverso l’esame delle frequenze emesse dal paziente e, conseguentemente, invio di campi e.m. correttivi negli organi individuati come bersagli della patologia per indurre il processo di guarigione.

L’effetto a livello atomico e molecolare che viene utilizzato non è, in questo caso, la ionizzazione che distrugge i legami delle molecole prodotte dalla patologia, come nelle tecniche radioterapiche e radiochirurgiche, ma l’emissione di deboli segnali elettromagnetici che guidano le molecole alla reazione chimiche in grado di ripristinare la corretta alimentazione cellulare.

Va da sé che questa tecnica innovativa è supportata da una teoria diversa da quelle a supporto delle tecniche precedenti: si basa infatti sul fenomeno della “Biorisonanza cellulare“ che consiste nella capacità delle molecole presenti all’interno delle cellule di attivare, o riattivare, per “risonanza”, le reazioni fisiologiche in presenza di segnali elettromagnetici che hanno la stessa frequenza di quelle emesse naturalmente.

La possibilità, sperimentata con successo, di poter intervenire sul processo terapeutico attraverso debolissimi campi elettromagnetici ha spinto alcuni ricercatori a verificare la sostituzione delle sostanze chimiche più usate nella medicina, come gli antibiotici e i farmaci anti-infiammatori, con le frequenze caratteristiche dei piccoli campi e.m. emessi dalle sostanze stesse.

È stato così progettato e realizzato[3] un dispositivo che pone all’ingresso del MORA lo spettro di frequenze del campo elettromagnetico emesso dai farmaci individuati come attivi nella patologia da curare. Tali frequenze vengono debitamente amplificate e inviate al paziente.

L’efficacia del sistema, denominato dal suo ideatore Dottor M. Citro “trasferimento frequenziale del farmaco”, è ben documentata in diverse sperimentazioni riportate nel sito sopracitato.

Il meccanismo di funzionamento è ancora oggetto di approfondimenti teorici, anche se è stato formulato un modello basato su solidi principi di biofisica e biologia molecolare.

Riportiamo preliminarmente alcuni richiami di base di fisica atomica, necessari alla comprensione del modello ipotizzato.

Ricordiamo innanzitutto che gli elettroni più esterni del guscio intorno al nucleo atomico, detti elettroni di valenza, sono responsabili di tutte le reazioni chimiche e quindi anche del corretto funzionamento cellulare, in idonee condizioni fisiologiche.

Tali reazioni vengono attivate da segnali elettromagnetici, ovvero da fotoni di specifiche frequenze, emessi dal salto di orbita degli elettroni delle molecole che permettono la formazione di nuovi legami atomici nei prodotti della reazione.

È evidente che, in presenza di una patologia, il meccanismo fisiologico delle reazioni chimiche corrette è inceppato a causa di fotoni anomali emessi dal sistema sia per la presenza di sostanze estranee, quali batteri o virus, che per cause endogene al sistema stesso, come, ad esempio, nel caso di malattie autoimmuni.  Il farmaco agisce producendo le reazioni che tendono ad eliminare gli elementi estranei anche se tra i prodotti di reazione, come è noto, si generano sostanze tossiche che l’organismo dovrà poi provvedere ad eliminare.

Il sistema di Trasferimento frequenziale del farmaco, agendo in questo contesto, potrebbe innescare le reazioni chimiche che trasformano, rendendola inattiva, la sostanza estranea presente nel sito intracellulare, a condizione che la frequenza dei fotoni inviati sulle cellule siano quelle “corrette” con l’evidente, non secondario, vantaggio di non produrre sostanze tossiche tra i prodotti di reazione.

Concludiamo con la speranza, che è anche un appello, che si avvii una maggiore integrazione tra la ricerca medica e quella di altre discipline come la biofisica e la biochimica, in modo da pervenire ad una maggiore capacità di affrontare e risolvere molte patologie, con meno impiego di risorse economiche e soprattutto con meno rischi ed effetti nocivi per mantenere quello stato di salute che costituisce il nostro principale scopo.

Prof. Luciano D’Abramo


[1] Il suo utilizzo è anche mantenuto come terapia “adiuvante” dopo gli interventi chirurgici di asportazione del tumore per cercare di eliminare le cellule cancerose residuali.

[2] In particolare si fa riferimento agli studi del biofisico austriaco F. Popp sull’emissione di fotoni da parte dei tessuti biologici e del Dottor Voll sugli stimoli elettrici sui punti di Agopuntura

[3] Si veda per un approfondimento il sito https://www.idras.org/TFF/  a cura dell’IDRAS Istituto di Ricerca “Alberto Sorti”

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Luciano D'Abramo

Laureato in Fisica con lode all’ Università “La Sapienza” di Roma nel 1974, ha svolto per molti anni la sua attività professionale nell’ambito della progettazione e realizzazione di grandi Sistemi Informativi, principalmente per Enti pubblici quali la Ragioneria Generale dello Stato ed il Ministero dei Beni Culturali. Particolarmente interessato, sin dall’età giovanile, alla ricerca di una possibile sintesi tra le varie discipline scientifiche, oggi ancora troppo frammentate, ha pubblicato nel 1998 il libro “Fisica e Psiche”, trovando possibili collegamenti ed analogie tra le relazioni interpersonali e le leggi della fisica. Dal 2002 svolge interamente la sua attività professionale alla progettazione ed alla erogazione di corsi presso scuole ed istituti superiori ed universitari su materie scientifiche. Fa parte, sin dalla sua costituzione del corpo docenti e del Comitato Scientifico della Scuola di Naturopatia Borri ora Campus FRAMENS, per la quale svolge seminari e corsi di Biofisica, con particolare riferimento ad argomenti di ricerca di frontiera sulle leggi e le teorie della Fisica applicate ai sistemi viventi, riconducibili alle tecniche ed alle metodiche della medicina naturale.