Riflessioni dal dramma della Pandemia
Dal dramma della pandemia riflessioni per la collettività ferita e messaggi di cambiamento per la scienza medica
Dal secolo dei lumi quando Leibniz affermava con una certa sicurezza che “natura non facit saltus”, la scienza ha fatto enormi progressi dando luogo a quella che possiamo definire attualmente come “l’età della tecnica“, generando però una suddivisione in infinite specializzazioni che ci hanno fatto perdere la visione d’insieme del mondo. Una frattura che si è riverberata nella impossibilità, nel campo della salute e della medicina, a prendersi cura della persona nella sua interezza e peculiare individualità.
Un percorso, quello delle più recenti scoperte ed applicazioni scientifiche, lungo più di tre secoli, che ci ha mostrato realtà fenomeniche paradossali se interpretate con una mentalità rigidamente legata alle percezioni sensoriali ed a modelli di interpretazione del mondo che da queste percezioni traggono fondamento…
Così, ad esempio, non avremmo mai potuto immaginare, secondo questi schemi mentali, che lo spazio vuoto non esiste ma che è in realtà lo scenario in cui, per tempi brevissimi, si creano e si distruggono infiniti lampi di energia, né che esistono, nell’infinitamente piccolo, interconnessioni non risolvibili tra elementi che costituiscono i mattoni fondamentali della materia. Una interconnessione, di sentimenti più che di sensi, che abbiamo provato in questo dramma pandemico proprio quando abbiamo dovuto fare a meno di stare vicini, sentendoci tutti uniti in un grande unico corpo “virtuale” di dimensioni mondiali eppure così fragilmente esposto ad essere attaccato e corroso….
Non tutti, certo, abbiamo sentito di far parte di questo “unicum” planetario, come coloro i quali, pochi per fortuna,che non hanno esitato a cercare di “sfruttare” il momento vendendo a prezzi maggiorati i dispositivi di protezione; eppure doveva essere assai facile da capire che in questi casi la solidarietà e il senso civico valgono molto di più della leggi di mercato….
E che dire poi di quanti di noi si sono improvvisati scienziati, politici di lungo corso, opinionisti di fama, per poter dire la nostra opinione su ipotesi, fatti, realtà così difficili, talvolta impossibili, da decifrare….
La “cultura ufficiale” con i suoi mille rivoli del “sapere” fin qui noto si è logicamente attenuta scrupolosamente ai principi del “modello riduzionista” sia nelle scienze “esatte“ che nella medicina, tanto da rendere obbligatorio il ricorso ai cosiddetti “esperti” davanti a scelte di diversa natura, specie se rivolte a come mantenere la propria salute (ad esempio sull’utilizzo delle mascherine in questa pandemia) o a favorire o meno l’utilizzo di tecnologie specifiche (come il “5g” per la telefonia cellulare, altro aspetto d’attualità).
Il problema sembrerebbe risolto se non fosse che gli “esperti” spesso si esprimono in contrasto fra di loro presumibilmente e, nella migliore delle ipotesi, perché vittime essi stessi di una percezione della realtà frammentaria che impedisce loro una sintesi efficace della complessa situazione che sono chiamati a interpretare. Forse sarebbe il caso di ricordare,come scrisse Wittgenstein, che “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere“.
La soluzione di questa questione diventa poi impossibile nei casi di palese conflitto di interessi di chi è chiamato a stabilire cosa è corretto “scientificamente” e cosa non lo è.
Con questo panorama il singolo individuo non può che decidere sulla base della propria percezione intrisa di ideologia, emozionalità, simpatia, fascinazione esercitata dall’esperto di turno, aspetti che sono l’esatto contrario di quella oggettività così spesso osannata quanto difficile da realizzarsi come caratteristica inderogabile dal metodo scientifico.
Che fare a questo punto? Rinunciare alla ricerca di ciò che può essere ricondotto se non al “vero” quantomeno al “reale” ?
Per poterci orientare in questo scenario contraddittorio e confuso possiamo intanto individuare tutti quegli aspetti che possono alterare la validità stessa delle indicazioni che ci vengono date che, non dovremmo mai dimenticare, dovrebbero essere finalizzate unicamente ad un miglioramento della salute pubblica collettiva.
Prima di tutto dobbiamo rilevare la difficoltà oggettiva da parte della scienza medica di conoscere le capacità reattive di ogni individuo, aspetto questo che dovrebbe far ripensare la logica di proporre terapie standard – i cosiddetti protocolli – che siano le più idonee per tutti.
In fondo la storia della scienza, in ogni sua articolazione, ci ha insegnato che essa procede per approssimazioni successive, per piccoli “salti” che vengono poi sistematizzati all’interno di un paradigma la cui validità diventa riferimento stabile ma solo fino a a quando nuove ricerche e nuove scoperte non ne costruiscono uno nuovo… Se aggiungiamo poi che l’estrema complessità del corpo umano impedisce una precisa conoscenza delle innumerevoli parti che lo compongono e che, di conseguenza, inficia l’efficienza stessa del riduzionismo, è evidente che l’efficacia di una terapia può essere ritenuta valida solo all’interno di criteri statistici. E la statistica – è noto – contempla l’errore come parte integrante delle sue teorie.
Queste riflessioni dovrebbero essere tenute in debito conto prima di diffondere considerazioni come verità ineccepibili invece di rapportarle alla propria esperienza specifica. Di clinico, di chimico, di virologo….: un atteggiamento più umile è più consono quando si affrontano problemi nuovi ma diventa necessario quando si tratta della salute e, in questo caso, della vita delle persone.
L’interdisciplinarietà che pure comincia ad assumere sempre più importanza nell’orizzonte scientifico può fornire un approccio più idoneo per conoscere meglio il corpo-mente, le sue funzioni e disfunzioni, le sue difese naturali, le terapie meno invasive e più efficaci: ogni persona che opera nel campo della salute deve assumere i principi dell’etica e della deontologia professionale a base di ogni suo operato, prima ancora dei suoi saperi nel campo specifico.
Un’ulteriore riflessione rivolgiamo ai mezzi di comunicazione a tutela della loro e nostra libertà di informare e di essere informati: esistono casi in cui la corretta, non ridondante e puntuale informazione, con la conseguente scelta di chi invitare, di quali quesiti porre su temi essenziali deve prevalere sulla ricerca dell’audience ad ogni costo e l’attuale dramma pandemico è sicuramente uno di questi.
In sintesi potremmo dire che i principi etici, lo studio attento, la competenza, una mente aperta, la misura, meno protagonismo e più condivisione sono i tratti fondamentali da curare prima in noi stessi per poi portarli nell’ambiente in cui operiamo nell’affrontare le crisi come questa drammatica che stiamo vivendo.
Terminiamo queste brevi considerazioni in ricordo di tutte le vittime di questa pandemia sperando che si tragga insegnamento per il futuro dagli errori fatti nei loro confronti e di tutti i messaggi e le sensazioni che ci hanno trasmesso la loro sofferenza e quella dei loro familiari, psichica prima ancora che fisica.
Prof. Luciano D’Abramo