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Colchicum Autumnale – parte 1

Fitoterapia tra scienza, storia e leggenda

1. Premessa

Tra gli antireumatici atipici a risposta lenta oggetto di recenti indagini per l’azione immunomodulante ed antiinfiammatoria non vi sono solo clorochina ed idrossiclorochina, di cui ho accennato in un precedente articolo.

Fermo restando che e’ possibile, in aggiunta ai trattamenti convenzionali, anche una manipolazione dietetica del processo infiammatorio (B. G. Katzung) riducendo l’apporto alimentare di acido arachidonico ed aumentando quello di acidi grassi poliinsaturi della serie omega-3 come l’EPA (acido eicosapentenoico), col risultato di

  • portare alla sintesi di prostaglandine meno pro-infiammatorie ed in grado di competere con quelle maggiormente flogogene
  • ridurre la chemiotassi leucocitaria e l’adesività dei polimorfonucleati in risposta al leucotriene B4
  • ridurre l’aggregazione piastrinica senza significativi effetti collaterali, altre strategie si affacciano all’orizzonte.

Un recente articolo su Clinical Immunology (“Treating COVID-19 with colchicine in community healthcare setting”, una comunicazione di E. Della Torre e Coll., IRCCS S. Raffaele e altri Istituti di Ricerca Milanesi) ha riportato ancora alla ribalta degli scienziati una vecchia conoscenza della fitoterapia, il colchico, tuttora impiegato in terapia sia come principio attivo (la colchicina) sia come derivato (tiocolchicoside); la questione sara’ approfondita più avanti tra i recenti sviluppi della ricerca.

Sono in atto ulteriori studi da parte di reumatologi di Pisa e, soprattutto, uno studio multicentrico (con la regia di un centro di ricerca di Atene) e la partecipazione anche di organismi di ricerca italiani.

Ma proviamo a fare un passo indietro nel tempo e nello spazio, nel lungo cammino che ha accompagnato il colchico nella storia dell’uomo e della sua continua sfida alla malattia.

2. Tra storia, tradizione e leggenda

Una antica leggenda delle Dolomiti racconta come, presso il selvaggio popolo delle Betulle, un funesto sortilegio impedisse la nascita di eredi maschi.

L’incantesimo fu spezzato su consiglio di una vecchia maga, Ergobanda, grazie al sacrificio delle fanciulle del villaggio che, dopo essere passate sotto l’arcobaleno della luna, furono tramutate in fiori, velenosi custodi delle loro anime, in colchici autunnali, fiori del giardino di Samblana, la Grande Signora dell’Inverno.

Il solo guardare questi fiori, continua la leggenda, trasmette una grandissima tristezza perché portano un muto richiamo di morte e malinconia (B. Del Lago).

Il colchico o zafferano bastardo (pianta con la quale può essere confuso, con grave rischio per la salute), gigliacea diffusa dall’Europa al Nord-Africa, possiede fiori simili a campanule, eretti, tra il rosa ed il lilla, con un bulbo piriforme e prolifero che la fa assimilare, secondo M. I. Macioti (“Miti e magie delle erbe”) ai “frutti di tentazione e di peccato”, come quelli delle rosacee, ampiamente presenti nel mito e nella fiaba.

Bisogna comunque precisare che l’attenta osservazione del fiore consente un agevole riconoscimento: mentre lo zafferano ha solo 3 stami il colchico ne possiede il doppio.

Può essere anche confuso, occasionalmente, con altre liliacee selvatiche come l’aglio orsino, tuttavia se ne distingue facilmente a causa dell’odore assai differente da quello caratteristico dell’aglio selvatico.

Complessivamente gli antichi conoscevano la pianta soprattutto per la sua azione tossica e non per eventuali proprietà terapeutiche.

Dioscorides PlantNel “De Materia Medica” (il “Dioscoride di Napoli”) si ritrova un ephemeron (“che agisce in un giorno” o che “dura un giorno”), chiamato da alcuni colchico, da altri bulbo selvatico, dai Romani bulbo agreste (ma Plinio non fa alcun cenno a questa pianta); si dice che

“la radice (…) sbucciata si rivela bianca e tenera e piena di succo e dolce. (…) il bulbo (…) nasce per lo piu’ in Messenia e Colchide. Mangiato uccide per soffocamento in modo simile ai funghi. Se ne e’ scritto affinche’ non lo si mangi per errore in luogo del bulbo; e’ infatti straordinariamente attraente per gli inesperti a causa del sapore. A coloro che ne mangino fanno bene le stesse sostanze che si usano contro i funghi e il latte bovino bevuto, al punto che, quando ce n’e’, non c’e’ bisogno d’altro rimedio.”

Non è comunque chiaro di quale specie di Colchicum si tratti veramente (C. variegatum, C. parnassicum, ecc.) ed alcuni esperti, a causa della descrizione dei luoghi di diffusione (regione intorno al Mar Nero), della morfologia e del periodo di fioritura, mettono anche in discussione che tale pianta descritta abbia davvero a che fare con il nostro colchico.

Il celebre Herbario Nuovo di Castore Durante (1585) riprende in gran parte la descrizione della pianta fatta da Dioscoride, aggiungendone particolari qualità

“caldo e secco nel secondo grado” ed un uso esterno “trita la radice e applicata mitiga i grandissimi dolori e massime nelle morici. Et impiastrata con mele e semola d’orzo tira fuori le spine e altre cose infitte nelle carni con mele e farina di fave o di veccia mollifica le durezze; giova nelle dislogationi de i membri e con aceto e seme di ortica mondifica la pelle.”

Riporta, il Durante, anche una singolare avvertenza

“Et pero’, avvertono gli speziali, che non mettano queste radici in vece d’hermodattili nelle pillole per le podagre, ma per succedaneo si metta la centaurea minore”.

Sembra comunque che, almeno fino al VI sec. d. C. la pianta (e le sue preparazioni) non fosse consigliata per sindromi dolorose articolari; l’impiego nella gotta acuta si fa risalire almeno al 1763 (Von Storck).

Colchicum autumnaleFrancesco Borsetta, noto erborista del secolo scorso, descrive la pianta (Colchicum autumnale L. Fam. Liliaceae) come erbacea, bulbosa, frequente nei prati freschi autunnali, dalle foglie lucenti, oblunghe, violacee, disposte a corona attorno al frutto, una capsula triloculare contenente molti piccoli semi; la droga principale sono proprio questi semi (da raccogliere in estate, giugno-luglio) ma talvolta in passato veniva usato anche il bulbo, da raccogliere un po’ più tardi (verso agosto-settembre) prima della fioritura.

Come altre liliacee il suo bulbo, ci racconta Sermonti ,

“è una struttura sferoide, grossolana, avviluppata in guaine brunastre, più simile ad un ciottolo fangoso che a un vegetale. Trascorre l’inverno sottoterra, in attesa dei primi calori. (…) Quando viene la buona stagione la minuta gemma si risveglia, si distende, il fusticino si allunga e la porta fuori dal terreno. La piantina cresce, racchiusa in verdi guaine fogliari, che infine si aprono ad un fiore sublime con simmetria ordine tre.”

Nel 1818 la pianta fu inserita nella Farmacopea Inglese, ma ancora non era ben chiaro tutto il suo potenziale terapeutico.

Il Codice Farmaceutico Romano (1868) tuttavia ci riporta che

“il solo bulbo è adoperato in medicina per l’idropesia, asma di petto, gotta, ecc.; usasi anche come fondente nelle malattie ostruzionali, facendo prima seccare al sole le sue squamme e polverizzandole.”

Si citavano un enolito (dalla pianta fresca) ottenuto per macerazione, un ossimiele (ottenuto per decozione con 2 parti di miele ed una di aceto), o, più raramente, polvere o sciroppo.

Si metteva già in guardia dagli effetti tossici gastrointestinali, in parte autolimitati dagli effetti emetici della droga stessa, da aiutare con bevande calde e latte.

3 L’approccio antroposofico ed omeopatico

Nel testo di W. Pelikan la visione antroposofica delle piante medicinali trova la sua espressione piu’ suggestiva, mutuando diversi elementi gnoseologici dell’antico sapere degli alchimisti.

Caratteristiche generali delle liliacee, famiglia cui appartiene il colchico

  • piante primordiali con scarse radici, in riferimento ad un antico suolo terrestre piu’ molle e ricco di liquidi; per questo prediligono soprattutto climi tropicali e subtropicali umidi
  • accumulo eterico negli organi sotterranei acquosi e mucillaginosi
  • alla fioritura l’acquoso mercuriale cede il posto ad un processo sulfureo, con flusso di essenze volatili (spesso forti ed irritanti) verso i fiori, passando dal dominio dell’acqua a quello dell’aria; tuttavia restano compresenti la natura mercuriale e quella sulfurea
  • nella fioritura, sul piano geometrico, si passa dal dominio del cerchio (bulbo) a quello dell’esagono della stella a sei raggi.

Nel colchico si ritrovano le stesse dinamiche formatrici.

Nel colchico è più forte il dominio sotterraneo; l’emergere del fiore non e’ mediato da alcuna mediazione ritmica di una qualche organizzazione fogliare.

Nella pianta domina un elemento astrale che e’ anche alla base del suo potere tossico; il colchico stimola il corpo astrale nell’organismo inferiore ad una intensa secrezione.

Inoltre, secondo il Pelikan (e R. Steiner), l’aspetto degli organi sotterranei suggerisce una energica azione nella regione tra il petto e la testa, in corrispondenza della tiroide, che sarebbe particolarmente sollecitata dal bulbo.

Il rimedio omeopaticamente ha un’azione generale su

  • apparato gastrointestinale (azione infiammatoria)
  • sistema nervoso (azione tossica)
  • metabolismo.

R. Zissu e M. Guillaume nella loro Materia Medica inseriscono colchicum tra i rimedi specialistici, distinti dai rimedi principali e da quelli meno frequenti.

In ambito omeopatico il soggetto colchicum è

  • delicato, spossato, freddoloso, tendente a collassare (migliora col riposo, alla sera e peggiora al mattino, col movimento e con qualunque sforzo psico-fisico), iperestesia sensoriale verso odori, luci, rimori, sapori, dolori e sensazioni tattili, smemorato, spesso anziano e cagionevole
  • con coliche intestinali, meteorismo, spasmi e dolori gastrointestinali, vomito (peggiora con l’odore e la vista del cibo); le feci sono abbondanti e gelatinose, con lembi biancastri di mucosa
  • con secchezza delle fauci e grande sete
  • rigidita’ e dolori articolari (migranti), gonfiori rossi e poi pallidi, crampi, tremori e convulsioni (peggiora col freddo e migliora col caldo); i dolori diventano piu’ profondi ed ossei quando il tempo e’ freddo
  • palpitazioni e fitte al miocardio, polso leggero e frequente, dalla cattiva circolazione generale (tendente agli edemi)

per cui il rimedio trova indicazioni per

  1. gastroenteriti acute con spasmo
  2. gotta, reumatismo articolare, artrite
  3. pericarditi ed endocarditi acute
  4. nefriti, edemi profondi.

4 L’indagine scientifica del fitocomplesso

Nel testo “Piante Medicinali e loro estratti in terapia” del dott. C. Boccaccio Inverni (1933) veniva considerato un analgesico drastico, specifico contro gli attacchi di gotta e per i processi artritici con stato febbrile; erano descritti soprattutto i semi ma anche il bulbo; riguardo agli effetti tra gli elementi messi in evidenza, attraverso le considerazioni di vari specialisti in materia

  • l’infiammazione della mucosa intestinale
  • intensa stimolazione delle secrezioni epato-intestinali (per effetto sui gangli)
  • l’analgesia per interferenza sulle terminazioni dei nervi sensori
  • azione antipiretica
  • la conservazione della vigilanza e la quasi apparente assenza di effetti centrali
  • probabili scarsi effetti sui livelli di acido urico o, paradossalmente, favorevoli alla sua ritenzione (per cui ne va fatto un impiego molto attento e prudente, valutando lo stato di efficienza dell’apparato emuntoriale e osseo-midollare); se ne suggeriva l’impiego in fase iniziale, agli esordi delle sindromi dolorose, prima del raggiungimento dell’acme e a dosi minime efficaci

Tra i sintomi di avvelenamento venivano segnalati gravi disturbi gastrointestinali (diarrea acquosa, poi sanguinolenta), polso e respiro flebile, danni renali, shock fino al decesso per asfissia dopo circa 3 o 4 ore.

La Farmacopea Ufficiale Italiana VI Ed. (1940) descriveva la pianta come diffusa soprattutto nell’Italia Settentrionale, mentre al Sud sarebbero piu’ diffuse specie affini come C. neapolitanum; riferendosi solo ai semi (con colchicina media dello 0,4 %), dal sapore acre-amaro, ne descriveva “l’albume, assai duro, fatto di cellule con pareti spesse e punteggiate, contenenti in abbondanza gocciole oleose e granuli di aleurone. L’embrione, molto piccolo, diritto, immerso nell’albume, si trova in prossimita’ del tegumento, quasi opposto all’ilo.” L’unico preparato citato e’ la tintura.

Un’ampia e approfondita analisi del fitocomplesso attivo del colchico lo troviamo in “Piante Medicinali. Chimica farmacologia e terapia.” di R. Benigni, C. Capra e P.E. Cattorini (1962).

Dalla scoperta della colchicina nel 1920 da parte di Pelletier e Caventou al riconoscimento pieno della sostanza e della sua formula chimica (Windaus) passò più di un secolo, anche se solo successivamente si è compresa la natura del nucleo centrale della molecola, che non era fenantrenico ma benzo-cicloeptan-tropolonico, in cui un anello A benzenico (che porta tre metossili) si associa ad un anello B cicloeptanico 8con una funzione ammidica), a sua volta collegato ad un altro anello C a 7 atomi di C, insaturo, con una funzione chetonica e metossilato; i metossili sono particolarmente sensibili ai processi estrattivi.

Una descrizione specifica dei rapporti struttura-attività della colchicina e delle molecole correlate la si deve a Wallace (1961).

Lo storico testo di Benigni e coll. individua nel fitocomplesso del colchico due classi fondamentali di principi attivi:

  1. quelli tropolonici, comprendenti la colchicina e varie molecole simili
  2. quelli non tropolonici, tra cui piccole quote di un alcaloide solforato.

Non di rado i derivati della colchicina si mostrano meno tossici e meglio tollerati rispetto alla sostanza di riferimento, per questo sono stati oggetto di ulteriori indagini (specialmente riguardo alla possibile azione antineoplastica).

Il tenore in colchicina varia da un massimo di 0,5-0,8 % (semi) ad un minimo di 0,15 % (bulbo), anche se si segnala una certa variabilità.

Nei semi si ritrovano anche altre sostanze come lipidi, fitosteroli e glucidi, mentre nel bulbo anche acidi organici (chelidonico, benzoico, 2-ossi-6-metossi-benzoico, salicilico, ecc.), aminoacidi (asparagina), apigenina, polisaccaridi e saccarosio.

Nella descrizione delle proprietà farmacologiche e cliniche il testo del Benigni si ricollega alla monografia rilasciata dal Niccolini nel 1953; si citano, tra l’altro,

  • l’azione intensamente irritante su cute e, soprattutto, mucose, da riferirsi, almeno in parte, alla presenza dei metossili (il colchicoside sembra meno irritante della colchicina)
  • sul tubo digerente si manifesta ipersecrezione, iperperistalsi, dilatazione capillare e, a dosi maggiore, fenomeni emorragici; le scariche diarroiche, in parte contrastabili con atropina, fanno supporre una certa interferenza sul parasimpatico e la mediazione colinergica (non ben evidenziata in modelli sperimentali); la secrezione biliare subisce un modesto aumento, soprattutto ad alti dosaggi
  • a livello respiratorio si producono convulsioni asfittiche e broncocostrizione, probabilmente di origini bulbari
  • sull’apparato cardiovascolare (miocardio e pressione) si manifestano effetti solo ad elevati livelli posologici; alcuni studiosi ipotizzano un’aumento della circolazione a livello delle regioni articolari ed epifisarie, che potrebbe in parte giustificare i benefici clinici osservati nella crisi gottosa
  • sul piano immunologico sembra diminuire inizialmente il numero di leucociti, per poi indurre (dopo circa un paio d’ore) un aumento consistente e protratto degli stessi (soprattutto i polinucleati); tale effetto sarebbe contrastato dalla somministrazione di sulfamidici; le piccole dosi sarebbero piu’ stimolanti sui leucociti di quelle elevate; alcuni hanno ipotizzato un effetto indiretto sull’ipotalamo a giustificazione dei cambiamenti delle popolazioni leucocitarie
  • in ambito renale, come su quello cardiovascolare, gli effetti tossici si manifesterebbero solo alle dosi piu’ elevate, mentre non sarebbe influenzata l’escrezione dei composti azotati
  • sui muscoli, a livello sperimentale, alcuni studi (non confermati) avrebbero segnalato una certa azione contratturante caratteristica, con benefici possibili in alcune forme di atrofia di origine spinale, avvalorati da qualche rispontro clinico
  • sul sistema nervoso centrale si osserverebbe, al crescere delle dosi, una paralisi ascendente dai centri midollari a quelli bulbari; tuttavia l’intossicazione nell’uomo non altera lucidità, intelligenza e volontà fino alla fine
  • sul piano neurovegetativo la colchicina porterebbe ad uno squilibrio graduale verso il simpatico, di parasimpaticolisi, con aumento dei valori pressori; in parte questo spiegherebbe i benefici a carico dei soggetti gottosi, solitamente vagotonici e in certe dermopatie cutanee di natura allergica
  • • sul piano endocrino si sono osservate sperimentalmente alterazioni dell’attività ovarica, surrenalica (con reazione di allarme ACTH-simile, utile a ridurre la risposta infiammatoria in caso di attacchi gottosi o allergici) sul pancreas insulare (stimolo alla secrezione insulinica); ci sarebbero anche interferenze nella funzione epatica ed in quella tiroidea; l’uso come antiallergico aspecifico pur essendo discreto e’ ora clinicamente obsoleto

L’azione antimitotica (approfondita nel 1934 da Dustin e altri) porta ad un’accelerazione della profase e ad un arresto in metafase, con formazione di cellule atipiche diploidi (fenomeno della poliploidia), sia che si tratti di cellule animali che vegetali, a somiglianza di quanto accade con l’irraggiamento con determinate radiazioni (questo ha suggerito un approfondimento delle proprietà antineoplastiche); anche altre sostanze simili presenti nel fitocomplesso del colchico esercitano un’azione paragonabile.

Altri fitocomplessi con effetti simili sulla mitosi sono quelli della Vinca rosea (vinblastina e vincristina), del Podophyllum peltatum (podofillotossina) e il principio del micete Penicillium griseofulvum (la grisovina).

Il risultati clinici in ambito oncologico, per quanto abbastanza numerosi, purtroppo non sono chiari e definitivi, molto variabili a seconda della forma neoplastica, spesso poco selettivi sui tessuti tumorali e gravati dal basso indice terapeutico della sostanza, per cui sono stati indagati altri derivati della colchicina apparentemente dotati di un profilo clinico piu’ favorevole.

Nella cura dell’attacco gottoso la colchicina è efficace nella stragrande maggioranza dei casi (95 %), ma il trattamento e’ meglio che non superi i 4 mg al giorno e i 3 giorni consecutivi per scongiurare fenomeni di accumulo.

Il trattamento andrebbe sempre associato a idonee misure dietetiche, limitando sostanze puriniche, lipidiche e alcoliche.

I preparati iniettabili possono favorire risposte infiammatorie nella sede dell’inoculo ma possono risultare meglio tollerati a livello gastrointestinale.

…continua

Dott. Claudio Biagi


Nella seconda parte di prossima pubblicazione:

5 La colchicina e i suoi derivati
5.1 Tiocolchicoside
6 Recenti sviluppi
7 Conclusioni

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Claudio Biagi

Laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, esperto di Nutraceutica (integrazione nutrizionale fitoterapica), Farmacista, Docente di Chimica, Consulente Scientifico, Accademico del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis, formulatore di importanti prodotti erboristici, Docente di Fitoterapia presso SMB Italia. Autore di libri e pubblicazioni scientifiche. Docente Università Unicusano. Direttore Didattico di Campus Framens, Primaria Scuola di Naturopatia