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Erbaccia sarai tu!

Lo spettacolo de’ lavoratori sparsi ne’ campi, aveva qualcosa d’ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vanga, come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potean vivere.
A. Manzoni: Promessi Sposi, Capitolo IV Par. 4

Nell’ultimo secolo (dati della Coldiretti) sono spariti 3/4 delle frutta ed il 95 % delle varietà di grano.

Lo stesso destino di frutta e cereali è toccato a molte verdure un tempo ampiamente consumate e raccolte, verso una sorta di “analfabetismo gastronomico” che investe la percezione del gusto e aspetti più importanti legati alla salute.

Il bisogno di gusto non può essere sbrigativamente liquidata come una questione voluttuaria ed edonistica, in quanto svolge un ruolo non trascurabile nell’equilibrio psicofisico complessivo della persona.

Questa spaventosa riduzione di biodiversità ha pesanti ripercussioni non solo sul piano culturale (con indebolimento della identità di un popolo) ma anche sul piano salutistico se è vero che dalla biodiversità del microbioma (correlata alla varietà dei cibi vegetali ingeriti) deriva il benessere stesso dell’essere umano e, probabilmente, una efficace prevenzione di molte malattie croniche.

Forse un elemento non abbastanza considerato, subdolo e insidioso, è la perdita di significato e di valore dell’alimentazione per l’essere umano, sia sul piano conviviale che su quello nutrizionale, complice una
certa scienza più attenta alla produzione, alla grande distribuzione ed alla preservazione di aspetti igienici.

In questo senso la fitoalimurgia è riduttivo concepirla come una disciplina che guarda nostalgicamente al passato, in quanto contiene spunti e prospettive per il futuro.

La fitoalimurgia non può essere concepita neanche, come troppo spesso accade, al pari di una branca curiosa della gastronomia per rispolverare semplicemente ricette, più o meno appartenenti alla tradizione, senza uno sforzo più ampio di comprensione del rapporto tra le piante indagate e le popolazioni.

Le piante, portatrici di antichi significati, accompagnano le società umane non solo nell’ambito della salute (medicina, veterinaria), dell’alimentazione (compresa la preparazione di liquori), della cosmesi, dell’uso voluttuario ma anche nella produzione di manufatti artigianali e nelle pratiche magico-religiose o propiziatorie.

Occorre ben caratterizzare le aree da studiare, definire con precisione i soggetti coinvolti nella attività di ricerca (non di rado donne anziane), mettere a punto e somministrare opportuni questionari, approntare idonee modalità di raccolta, caratterizzazione, conservazione e catalogazione del materiale vegetale, elaborare ed aggiornare le informazioni raccolte.

In effetti, a nostro modesto parere, la fitoalimurgia non può non essere una materia multidisciplinare, che interseca varie conoscenze provenienti dalla etnobotanica, dalla fitoterapia, dalla medicina popolare, dal patrimonio storico tradizionale e anche dal recupero di valori passati che sono necessari ad una concreta umanizzazione del gesto alimentare e terapeutico.

L’agricoltura è una attività relativamente recente (circa 10.000 anni fa) per la specie umana, comparsa sulla terra circa 3 milioni di anni fa.

Prima della nascita dell’agricoltura (e dello stabilirsi delle prime comunità stanziali) certamente la caccia e la raccolta di frutti, semi, germogli, radici, tuberi e altri prodotti vegetali commestibili spontanei doveva essere la regola.

Anche con la nascita della agricoltura, che inizialmente sviluppava soprattutto cereali, la raccolta di vegetali spontanei rimase largamente diffusa e praticata (probabilmente soprattutto dalle donne),
specialmente nei momenti di carestia, conflitti e di crisi delle produzioni agricole.

Gli studiosi stimano in circa un migliaio le specie vegetali anticamente conosciute e sfruttate a fini alimentari, talora estemporaneamente coltivate e successivamente inselvatichite.

Certamente già in alcune opere classiche del mondo latino (come il “De re rustica” di Lucio Moderato Columella e la “Naturalis historia” di Plinio il Vecchio) si riportano notizie su piante e pratiche, spesso
definitivamente perdute, riferibili all’alimentazione.

Studiosi di culinaria come Paolo Petroni, nel suo testo “Libro della vera cucina toscana”, si rifà ad un anonimo libro di cucina del 1300 per illustrare alcune ricette tradizionali, contenenti piante selvatiche
eduli, della regione.

Anche il padre della prima Accademia Agraria del mondo istituita nel 1540 a Rezzato, tal Agostino Gallo, nella sua opera “Venti giornate dell’agricoltura” non mancava di istruzioni sulla coltura e conservazione di varie specie botaniche utili, oggi non facilmente reperibili.

Ma sarà il celebre Commentario all’opera di Dioscoride di P.A. Mattioli nel 1554 (che grande influenza ha esercitato sia sulla medicina ufficiale che su quella popolare) che, oltre alle piante medicinali, considerò anche quelle alimentari, ritenendolo necessario per le prescrizioni dietetiche del medico.

Alimurgia è un termine coniato nel 1767 da Giovanni Targioni Tozzetti (da “alimenta” e “urgentia”) dopo la carestia del 1764 in “Alimurgia o sia il modo di rendere meno gravi le carestie proposto per il sollievo dei popoli”.

Nel secolo scorso furono diversi i libri di fitoalimurgia riguardanti specifiche aree del nostro paese.

Un testo di questo genere, riguardante le piante medicinali ed alimentari (165 specie) della Val Brembana uscì nel 1903 da parte di Piero Giacomelli; di poco successivo (1919) un altro piuttosto importante riguardante le specie vegetali piemontesi da parte di O. Mattirolo.

Sulle orme del lavoro del Mattirolo uno studio del 1941 di N. Arietti sulla “Flora economica e popolare del territorio bresciano” e, riguardo alla stessa area geografica, altri studiosi e divulgatori come Arturo Crescini, Eugenio Zanotti e Marino Marini.

Una interessante ricerca sul campo fu eseguita nel 1943 in certe regioni balcaniche da parte del prof. Tukakov (e collaboratori) dell’Università di Belgrado.

Persino l’esercito statunitense durante la seconda guerra mondiale fu istruito, nel quadro di un addestramento alla sopravvivenza, nelle conoscenze delle proprietà alimentari di certe piante spontanee europee.

Successivamente, grazie anche all’impulso del dottor P. Rovesti, fu istituita, all’interno del corso per Fitopreparatori della regione Lombardia, la prima cattedra per l’insegnamento della Fitoalimurgia.

Ancora oggi si continuano a pubblicare opere, spesso legate a specifiche aree territoriali del nostro paese, sull’impiego gastronomico di specie vegetali spontanee, es. B. Campolmi (“50 piante selvatiche per insalatine rustiche”).

Fino alla metà del secolo scorso le popolazioni contadine facevano ampio ricorso a varie specie spontanee del proprio territorio per far fronte ai propri bisogni primari alimentari, mentre in tempi più recenti queste pratiche hanno cominciato a perdere di valore e significato, se non a scopo di curiosità gastronomiche da soddisfare.

Oggi, per fortuna la consapevolezza di istituzioni (es. Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa) ed enti privati (es. Slow Food) è accresciuta, ma le emergenze ambientali (dovute non solo a fattori climatici ma anche a fattori direttamente antropici come l’inquinamento e l’abuso di pesticidi) rappresentano una questione preliminare da risolvere, anche ai fini di una piena valorizzazione delle risorse fitoalimurgiche territoriali sempre più a rischio.

Perfino un gigante della grande distribuzione come la Coop ha sentito la necessità di documentare con la pubblicazione di un apposito fascicolo (“L’erbario in tavola”) la tradizione d’uso di certe piante spontanee commestibili.

La raccolta delle sementi di queste piante, lo studio sulle potenzialità agricole ed economiche (oltre che salutistiche), il coinvolgimento di protagonisti sul territorio (istituti di istruzione, strutture di ristorazione, aziende agricole, ecc.) sono alcune delle più recenti iniziative che hanno iniziato a produrre risultati promettenti nell’ambito dell conservazione e lo sviluppo del patrimonio fitoalimurgico.

Le piante selvatiche o inselvatichite dall’incuria e dal disprezzo dell’uomo sono li’ a ricordarci non uno sterile romantico rimpianto per un trascorso passato ma a suggerirci una nostalgia di futuro possibile, sostenibile, sulle tracce di quello che siamo stati e che abbiamo smesso colpevolmente di essere.

Per fortuna è in atto un generale ripensamento, resistono pratiche agricole millenarie ed il recupero di antiche semenze, sono nati movimenti come slow food che hanno saputo indicare nuove valenze da
collegare all’alimento, definito come buono, giusto e pulito.

La ricerca, prima di essere una carriera accademica, diventa un atteggiamento umano che fa crescere e maturare le coscienze, aguzzare l’istinto di sopravvivenza, ricercando le piante utili e buone nell’ambiente che ci circonda, ci restituisce una memoria primordiale, una diversa prospettiva sul mondo che ci circonda, una rinnovata confidenza biologica con la natura sulla terra.

Erbaccia Sarai TuAttraverso la luce meravigliata della scienza si svela il dialogo profondo delle erbe commestibili, fatto non soltanto di gusto, ma anche di sottili e profonde emozioni, regolazioni che investono il patrimonio
genetico, la bioflora intestinale e quei delicati meccanismi di adattamento che ci consentono, nonostante tutto, di tornare ad assaporare una diversa e più sana idea di salute.

Questo testo, nato dalla viva esperienza comunitaria e partecipata delle lezioni tenute presso l’antica Scuola di Naturopatia Borri (ora FRAMENS), desidera essere un semplice e utile strumento ed un punto di riferimento per iniziative educative nell’ambito della formazione scolastica ma anche un percorso chiaro ed essenziale ad una materia certamente complessa per coloro che, semplicemente curiosi di nuove esperienze, volessero cimentarsi in un viaggio alle radici del nostro comune percorso alimentare e culturale, sperimentando alcune note gustative originali in un pentagramma di sapori spesso monocorde e lasciato assopire da stanche abitudini alimentari.

Dott. Claudio Biagi

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Claudio Biagi

Laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutica, esperto di Nutraceutica (integrazione nutrizionale fitoterapica), Farmacista, Docente di Chimica, Consulente Scientifico, Accademico del Nobile Collegio Chimico Farmaceutico Universitas Aromatariorum Urbis, formulatore di importanti prodotti erboristici, Docente di Fitoterapia presso SMB Italia. Autore di libri e pubblicazioni scientifiche. Docente Università Unicusano. Direttore Didattico di Campus Framens, Primaria Scuola di Naturopatia