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Personalità, decisioni, libero arbitrio: cosa dicono le Neuroscienze?

Premesso che malgrado la copiosa letteratura già presente sulle Neuroscienze siamo ancora ben lontani dal costruire un modello del funzionamento del cervello in grado di spiegare il nostro comportamento in risposta agli stimoli dell’ambiente e della nostra mente, il tema di cui ci occuperemo in questo articolo è relativo ad alcuni risultati degli studi sul condizionamento che le strutture neurologiche operano sulle nostre reazioni a queste sollecitazioni.

Per poter addentrarci in questo arduo quanto ancora incerto cammino occorre partire da alcuni assunti sui quali c’è una sufficiente concordanza tra i ricercatori che operano nel campo delle Neuroscienze.

Cominciamo col precisare che mentre è stata chiarita con una certa completezza e precisione la mappatura delle aree cerebrali deputate a rispondere alle diverse sollecitazioni sensoriali, poco è stato stabilito circa il significato che, in maniera del tutto soggettiva , attribuiamo ad uno stimolo piuttosto che ad un altro e perché, a fronte di uno stessa sollecitazione e di conseguenza al diverso significato che le attribuiamo, agiamo in modo diverso e in alcuni casi, decisamente opposto.

Per poter progredire in questa specifica conoscenza la gran parte degli scienziati sono comunque d’accordo che occorrerà approfondire il ruolo della coscienza con le sue caratteristiche fondamentali, siano esse legate alle forme biologiche , secondo il paradigma materialista[1], sia essa dipendente da più sfuggenti forme e strutture mentali, secondo la tesi mentalista[2].

Altro aspetto da cui partire per la nostra analisi è quello legato allo sviluppo della memoria, riconducibile ad una precisa svolta nel processo evolutivo che ha permesso, tra l’altro, all’umanità di prevedere e, dunque, di reagire con maggiore efficacia rispetto a fenomeni ed eventi naturali, provenienti dall’ambiente e dotati di una certa “regolarità” temporale.

Nella memoria riponiamo le nostre esperienze che , sulla base dei modelli in via di studio, sono rappresentate sotto forma di aggregati neuronali pronti ad essere attivati sulla base di segnali esterni, come ad esempio, un lampo di luce che ci permette di reagire chiudendo gli occhi o coprendo ove possibile la sorgente di luce. Il “ricordo” non sarebbe quindi che una rete neurale, composta di numerosissimi collegamenti ( le sinapsi) che si attiva secondo una precisa sequenza in modo da determinare la percezione del ricordo così come la nostra mente ce lo rappresenta dopo la ricomposizione nell’area cerebrale interessata.

La rielaborazione avviene rimodulando l’esperienza vissuta con la possibilità che la ricostruzione non sia completamente fedele ad essa a causa dei possibili “errori “ di trasmissione nella catena delle informazioni ( distruzione di “sinapsi”, ad esempio per effetto di sostanze tossiche o di usura del tessuto nervoso che permette di trasmettere i segnali).

Nel sogno questo aspetto è amplificato in quanto la rielaborazione non segue i modelli percettivi attivati nello stato di veglia; il meccanismo rappresentativo dell’evento sognato effettua un mixer dei segnali provenienti più o meno casualmente[3] dalla memoria con il risultato di costruire rappresentazioni spesso illogiche e fantasiose, almeno secondo l’analisi razionale che ne facciamo con lo stato di coscienza vigile.

A questo punto possiamo dedurre alcune modalità della trasduzione del segnale nervoso in percezioni e, con l’aiuto di alcuni assunti della psicologia “classica” , fornire plausibili spiegazioni sul diverso significato che ciascuno di noi attribuisce a questi specifici segnali.

In effetti, il nostro sistema percettivo è attivato dalle sensazioni fornite dagli organi sensoriali ma le reazioni agli stimoli esterni sono condizionati fortemente dal nostro vissuto interiore in un modo non spiegabile attraverso la sola analisi in termini biologici. Alcuni studiosi come J. Le Doux,[4]  individuano nella memoria emozionale, serbatoio al confine con il nostro subconscio, il nucleo delle strutture di memoria che sovrintendono a queste reazioni.

E’ infatti provato dall’esperienza che i nostri ricordi sono più marcati e precisi se l’evento associato è stato in grado di stimolare la parte più “emozionale” del nostro cervello.

E’ quindi soprattutto la parte “emozionale”, attivata in modo diverso a seconda del nostro vissuto esperienziale, a determinare la rappresentazione che prende forma nel nostro cervello e questa, a sua volta, produce la struttura biologica che ne mantiene traccia, ovvero la “memoria”.

Si può spiegare così la diversità con cui ciascuno di noi , a fronte di uno stesso insieme di sensazioni, reagisce in modo dissimile con una reazione spesso non codificabile a priori, anche dal punto di vista delle azioni che operiamo in conseguenza.

La decisione su “come reagire” ovvero di “cosa fare” a valle di impulsi percettivi, esterni o interni, viene presa sulla base delle varie “rappresentazioni” alternative proposte dalle aggregazioni neurali presenti nella memoria, evocate dalla sensazione percepita. E’ anche prevedibile che, in presenza di più possibilità, la scelta sia operata dalla struttura prevalente, in termini di scariche dei neuroni, che superano le altre lasciandole in forma latente e quindi ignorate, almeno in quel preciso frangente.

Il cervello allora è assimilabile ad una complessa macchina biologica?

E se la risposta è positiva, come si giustifica il concetto di libero arbitrio?

L‘atto di volontà non ha spazio sufficiente se diamo valenza effettiva a questo meccanismo, ancora meno la libertà di scelta. Le teorie per dare risposte esaustive a queste domande sono appena abborracciate, complicate dalle enormi difficoltà di eseguire sperimentazioni che siano in grado di validare o falsificare le ipotesi che ne costituiscono la struttura di base.

In ogni caso, un modello esplicativo delle nostre risposte agli eventi, aspetto che in una sintesi molto approssimativa potremmo designare con il termine “carattere”, deve alla fine tener conto delle basi neurali di ciò che costituisce la nostra morale. E questa morale come si connette con la coscienza?

Inoltre, se la correlazione tra stati mentali e decisioni sono in prevalenza di tipo diretto, ovvero di azione-reazione, in considerazione che ormai le nostre possibilità tecnologiche ci permettono di effettuare manipolazioni genetiche fino a livelli sub-molecolari, possiamo pensare di intervenire sugli stati neurali per imporre comportamenti obbligati alla persona, con implicazioni enormi di tipo etico-morale.

Cercheremo nei prossimi articoli di rispondere, sia pure in modo parziale, a queste fondamentali domande, riportando le teorie emergenti dai recenti studi delle Neuroscienze in merito alle possibilità che la nostra mente, condizionata dalle nostre impronte genetiche, ci offre per determinare il nostro destino.


[1] Su questa linea di ricerca si vedano, ad esempio, i lavori di J. Offroy de la Mettrie oltre a quelli, più recenti, di Crick, lo scopritore della forma elicoidale del DNA

[2] Si attribuisce l’origine di questa linea di ricerca basata sulla identificazione del contenuto della conoscenza con stati mentali a scienziati e filosofi quali Locke, Berkeley, Hume .

[3] Secondo Freud il sogno contiene elementi provenienti soprattutto da desideri originari dalla libido che l’io non può accettare e che quindi rimuove nello stato di veglia; studi più recenti tra cui quelli di Allan Hobson, rimandano l’ origine dei sogni ad input casuali provenienti dal tronco encefalico che , arrivati alla corteccia, vengono rielaborati nel tentativo di dar loro un senso ed una qualche coerenza logica.

[4] J. Le Doux,neuroscienziato statunitense, autore tra l’altro di numerosi studi in cui mette in evidenze l’importanza del sistema limbico in relazione alla memorizzazione e alle conseguenti reazioni all’ attivazione di stati emozionali

 

Prof. Luciano D’Abramo

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Luciano D'Abramo

Laureato in Fisica con lode all’ Università “La Sapienza” di Roma nel 1974, ha svolto per molti anni la sua attività professionale nell’ambito della progettazione e realizzazione di grandi Sistemi Informativi, principalmente per Enti pubblici quali la Ragioneria Generale dello Stato ed il Ministero dei Beni Culturali. Particolarmente interessato, sin dall’età giovanile, alla ricerca di una possibile sintesi tra le varie discipline scientifiche, oggi ancora troppo frammentate, ha pubblicato nel 1998 il libro “Fisica e Psiche”, trovando possibili collegamenti ed analogie tra le relazioni interpersonali e le leggi della fisica. Dal 2002 svolge interamente la sua attività professionale alla progettazione ed alla erogazione di corsi presso scuole ed istituti superiori ed universitari su materie scientifiche. Fa parte, sin dalla sua costituzione del corpo docenti e del Comitato Scientifico della Scuola di Naturopatia Borri ora Campus FRAMENS, per la quale svolge seminari e corsi di Biofisica, con particolare riferimento ad argomenti di ricerca di frontiera sulle leggi e le teorie della Fisica applicate ai sistemi viventi, riconducibili alle tecniche ed alle metodiche della medicina naturale.