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Il fenomeno del tarantismo tra magia e folklore

Il fenomeno del tarantismo tra magia e folklore«Le tarantole che si aggirano nelle campagne di Puglia appartengono probabilmente alla specie dei falangi e il loro veleno è di istantanea efficacia poiché colpisce subito la mente di coloro che vengono morsi.

Si suole in quella regione curarlo con il canto e con la musica, lo attesta anche il Cardano a proposito degli animali che nascono dai corpi in putrefazione.

Ma niente è più singolare di quel genere di ragno chiamato Tarantola, che quando morde procura la morte per letargia.

L’unico rimedio è la musica perché incita a ballare e ballando il letargo viene scacciato insieme al veleno che è freddissimo».

Lettera di Giovanni Battista Teodosio ad Andrea Alciati – 1538


In passato il Salento veniva chiamato “Japygia” o “Messapia”, dal nome dei suoi abitanti provenienti dalle coste illiriche. L’origine etimologica del termine attuale risulta essere ancora alquanto incerta e controversa fra studiosi.

Il Salento, terra di fatica e di sudore, è stato, per eccellenza, la culla di un fenomeno antico – per certi versi inspiegabile – unico in Italia e oramai conosciuto e studiato anche nel resto del mondo: il tarantismo.

Con il termine tarantismo si fa riferimento ad un complesso sistema di credenze che, sino a qualche decennio fa, era ampiamente diffuso in varie regioni dell’Italia meridionale (e in modo particolare in Puglia) e che attribuiva alla musica e alla danza una funzione terapeutica e riabilitativa.

Secondo la leggenda il morso della taranta (o tarantola), che interessava di frequente i contadini nei mesi estivi e nel periodo della mietitura, provocava, soprattutto nelle giovani donne, una condizione di malessere generale – dolori addominali, sudorazione, palpitazioni, offuscamento della coscienza e turbe emotive – che poteva essere curata solo attraverso una sorta di esorcismo musicale, coreutico e cromatico in grado di  guarire la persona sofferente.

Il tarantismo è un fenomeno con il quale si sono confrontate diverse scuole di pensiero e svariate discipline: etnologia, psicologia, storia delle religioni, mitologia, estetica, medicina, antropologia culturale, etnomusicologia, zoologia, psichiatria. I tentativi di comprensione di questo complesso fenomeno non possono in effetti prescindere da un approccio fortemente multidisciplinare, che non si esaurisca in un’analisi medico-diagnostica degli aspetti psicopatologici, né che etichetti semplicemente il tarantismo come frutto dell’ignoranza e della credulità popolare.

Uno degli studi più interessanti sul tarantismo lo si deve all’antropologo Ernesto De Martino, che nell’estate del 1959 giunse nel Salento con una equipe composta da un medico, uno psichiatra, una psicologa, uno storico delle religioni, un’antropologa culturale, un etnomusicologo e, infine, un documentarista cinematografico. Risultato del suo lavoro fu la celebre monografia “La terra del rimorso”, un testo fondamentale per inquadrare correttamente il fenomeno [1].

Secondo il De Martino il fenomeno, così come lo conosciamo oggi, è nato nel Medioevo, anche se le sue radici sono molto più antiche.
Concepito fin dal Seicento come una vera e propria patologia, il tarantismo è andato poi sempre più delineandosi come una forma di isterismo, singolare o collettivo, in relazione ad una situazione sociale non confacente ai propri desiderio, semplicemente, come reazione ad un impulso inconscio di evasione da una realtà sentita come misera e angusta.

La musica è l’elemento più importante del rituale esorcistico: ogni volta che un tarantato manifestava i sintomi associati al tarantismo, dei suonatori di tamburello, violino, organetto, armonica a bocca ed altri strumenti musicali si recavano presso la sua abitazione o nella piazza principale del paese ed eseguivano musiche dal ritmo sfrenato; il “tarantato” cominciava a danzare e ad urlare per lunghe ore sino allo sfinimento. La credenza voleva, infatti, che mentre le energie del tarantato si consumavano nella danza, anche la taranta si consumasse sino ad essere annientata.

Il ruolo dei musicisti era dunque fondamentale: a loro spettava il compito di intonare le diverse composizioni melodiche che avrebbero potuto stimolare il ballo delle tarante fino a che, trovata quella giusta, non aveva inizio il vero e proprio esorcismo con il danzare frenetico della persona posseduta dal mistico animale.
La melodia era poi spesso associata al colore caratteristico del tipo di taranta che aveva morso la vittima; di qui l’utilizzo dei drappi e dei fazzoletti colorati con cui veniva delimitata l’area rituale.

Come spesso accade per i rituali a carattere magico e superstizioso, anche a questa tradizione si cercò di dare una “giustificazione” cristiana (limitatamente, però, all’area leccese): così si spiega il ruolo di San Paolo, ritenuto il santo protettore di coloro che sono stati “pizzicati” da un animale velenoso.
La scelta del santo non è casuale, poiché negli Atti degli Apostoli (At. 28:3-5) si narra come egli sia sopravvissuto al morso di un serpente velenoso nell’isola di Malta.

Il tentativo di cristianizzazione del tarantismo non riuscì però completamente.
Durante il rituale esorcistico, infatti, le donne tarantate esibivano dei comportamenti di natura considerata oscena.
Per questo motivo la chiesa di San Paolo a Galatina (LE), dove i tarantati venivano condotti a bere l’acqua sacra del pozzo della cappella, venne sconsacrata e San Paolo, da santo protettore degli avvelenati, cominciò ad essere ricordato come il santo della sessualità.

Il fenomeno del tarantismo si è andato progressivamente estinguendo, ma la tradizione ad esso legata è in qualche modo sopravvissuta sino ai nostri giorni nel rituale della messa-esorcismo che il 29 giugno di ogni annoviene celebrato nella chiesa di San Paolo a Galatina.
Tuttavia, sono andati progressivamente scomparendo i momenti di partecipazione collettiva ed è diminuito il numero di persone che si recano alla chiesa per dare luogo al rituale.
Il contesto in cui avviene l’esorcismo, del resto, è radicalmente cambiato: non più una comunità contadina riunita per condividere il proprio patrimonio culturale, ma solo una folla di curiosi e visitatori lontani dal sistema ideologico che ha originato il rito.

Negli ultimi anni ha preso piede la rappresentazione teatralizzata e rievocativa della danza delle tarantate da parte di alcuni gruppi musicali e associazioni culturali. Tradizioni musicali appartenenti al genere della tarantella, in particolare la pizzica, sono tornate alla ribalta ottenendo un grande seguito.

Grazie a questa “riproposta” culturale il fenomeno del tarantismo ha raggiunto un vasto pubblico anche fuori dai confini del Salento.

Dott.ssa Giusy Negro


[1] Ernesto De Martino, La Terra del Rimorso, Edizioni “Il Saggiatore” (2009).

Bibliografia e sitografia:
De Martino, E., La Terra del Rimorso, Edizioni “Il Saggiatore” (2009).
http://www.ilsuonodelsalento.it/tarantismo.htm

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Giusy Negro

Laureata in Filosofia, Diplomata in Pianoforte presso il Conservatorio di Lecce, Master in Operatore Psicopedagogico, Master in Musicoterapia, Master in "Comunicazione e relazione didattico educativa con l'adolescente", Master in "Innovazione Didattico Educativa dell'insegnamento disciplinare: Filosofia, Storia", Master in "Perito Psicopedagogico", Master in "Criminologia, Autrice di Pubblicazioni e libri, Docente specialista di lingua Inglese e di Educazione Musicale. Docente della Scuola di Naturopatia Borri ora Campus FRAMENS