Educazione e natura nel processo di cambiamento
Nel suo famoso libro dal titolo evocativo “Change”, il ricercatore di scienze psichiche P. Watzlawick [1] cita un caso in cui una madre, preoccupata per il comportamento ribelle del suo bambino, si rivolge allo psicologo con la speranza che, attraverso un’adeguata terapia, suo figlio “non solo dovrà fare quel che gli dico di fare ma dovrà essere contento di farlo!”.
In effetti la seconda condizione dovrebbe prevalere sempre sulla prima , come vedremo più avanti. E’ dunque il raggiungimento di questa condizione interiore dell’educando l’obiettivo che tutti i moderni pedagoghi, genitori compresi, dovrebbero auspicarsi come risultato del loro impegno, anche se in pochi ci riescono.
Per cambiamento effettivo nel comportamento intendiamo, in questa sede, una modifica significativa nei valori che con esso si esprimono; in altri termini ci occupiamo dei contenuti della coscienza che influenzano e determinano il comportamento dell’individuo e che, in situazioni che andremo ad analizzare, possono essere significativamente modificati.
Ciò su cui vogliamo riflettere in questo articolo è, in altri termini, la possibilità che ha ciascun individuo di prendere coscienza e, eventualmente, cambiare il suo schema di riferimento interno, sfondo su cui si collocano il tipo e la qualità degli interessi e motivazioni interiori che, attraverso l’attivazione delle sue risorse interiori, sarà in grado di esprimere con naturalezza e soddisfazione.
Un esempio chiarirà meglio questo concetto di cambiamento.
Se in qualunque fase del mio sviluppo psichico mi vengono proposti obiettivi e schemi comportamentali che contengono interessi e finalità che sono in contrasto con le mie vere aspirazioni, la loro attuazione difficilmente produrrà in me un efficace cambiamento. Anzi l’esperienza nell’analisi di questi casi ci insegna che tale processo non si arresta con l’esecuzione di questi schemi ma finisce per autoalimentarsi, causando una circolarità che tende a produrre continuamente nuove mete da raggiungere, stabilendo così, per dirla con un termine di Watzlatick, una caratteristica omeostasi del sistema di concetti e comportamenti.
Rimane, di converso, una mia insoddisfazione, più o meno cosciente, verso tale comportamento.
D’altra parte, se, partendo da tale situazione, riesco, con modalità tutte da definire e che cercheremo di approfondire nel prosieguo dell’articolo, a conoscere le mie vere attitudini e possibilità creative, il mio schema di riferimento interno sarà profondamente cambiato e con esso i contenuti del mio bagaglio valoriale.
Chiarito il concetto di cambiamento, cerchiamo di approfondire le condizioni necessarie perché questo avvenga, fermo restando che la decisione ultima rimane sempre e comunque responsabilità della persona.
L’educatore, in qualsiasi campo operi, dalla famiglia, alla scuola, ai settori di aiuto ed assistenza sociale e sanitaria ha, ovviamente, un suo ruolo ma anch’egli è soggetto a vincoli, tanto più cogenti quanto più il “salto” da uno schema comportamentale ad un altro comporta variazioni radicali nei convincimenti e conseguentemente nelle azioni dell’individuo interessato.
Prima fra tutte per importanza è la capacità di ascolto, a priori, da parte dell’educatore delle motivazioni che la persona oggetto del messaggio di cambiamento adduce per motivare il suo schema comportamentale. Particolare attenzione va posta sull’interpretazione di questi motivi dei quali nella maggior parte dei casi la persona non è consapevole pienamente,essendo una reazione a disagi o sofferenze psichiche che hanno generato blocchi che impediscono la sperimentazione di altre vie esperienziali.
L’attenzione al modo di essere dell’altro è il miglior modo di entrare, con umiltà e rispetto, nel suo contesto cognitivo ed esperienziale che si struttura nei contenuti della coscienza.
Altro aspetto fondamentale da considerare è la cornice valoriale dell’educatore che deve, necessariamente, considerare valido l’insieme comportamentale che propone. Una divaricazione tra ciò in cui si crede e ciò che si propone, produce inevitabilmente il rifiuto al cambiamento.
I nostri nonni, in modo molto genuino, sapevano per esperienza di vita soprattutto, che l’esempio è il miglior viatico per il successo della proposta di nuovi atteggiamenti e diverse azioni, coadiuvati da convinzioni che ,anche se andranno a maturarsi nel tempo nella coscienza dell’individuo, devono essere accettate comprese e, infine, fatte proprie.
Oggi sappiamo che questo effetto è generato attraverso una sorta di “risonanza psichica” che si genera tra educatore ed educando, e che è in grado di stimolare l’apparato sensorio e cognitivo della persona interessata, probabilmente con il contributo fondamentale dei “neuroni specchio”, in modo che le informazioni veicolate siano adeguatamente memorizzate nel suo sistema neuro-vegetativo.
Resta ora da analizzare l’aspetto più controverso del processo di cambiamento ossia l’individuazione dei contenuti da veicolare nell’educando.
In altri termini: esistono contenuti buoni e contenuti cattivi? Ed esiste un’etica, da cui non si può derogare, del processo educativo?
La risposta è senz’altro positiva ma va articolata. Nel senso che un educatore non potrà mai prescindere dai valori fondamentali dell’epoca e del contesto sociale e culturale in cui opera.
Intendo dire che del nostro momento storico fa parte integrante il sistema valoriale frutto di un processo evolutivo ultramillenario e che da tale sistema l’educatore non può prescindere.
Un educatore che, oggi, non condanni ogni forma di violenza, che neghi il rispetto dei diritti fondamentali della persona, la sua libertà di opinione e di espressione non potrà mai essere definito tale.
Fermo restando questo aspetto, l’educatore non è certo tenuto a proporre pedissequamente modelli comportamentali che rafforzino il modello di società attuale: il suo compito proficuo è quello di far uscire (educo, dal latino “ex duco” ovvero conduco fuori) quanto di buono e creativo la persona possa esprimere, per se stesso e, indirettamente, per la società, contribuendo così al suo sviluppo ed al suo progredire.
L’eminente ricercatore e studioso di psicologia J. Hilmann [2] definisce questo insieme che costituisce il patrimonio genetico e, in qualche modo “spirituale” della persona, la ghianda per sottolineare che “ogni persona è portatrice di una unicità che chiede di essere vissuta e che è già presente prima di essere vissuta”.
La natura, con il suo possente codice di stimoli di istinti, impulsi,desideri e pensiero, ci offre in modo del tutto gratuito una via da seguire con soddisfazione, relegandola nel profondo della nostra anima ma non ce ne rende consapevoli in modo trasparente; i canoni sociali, costruiti da forze spesso in contrasto con tale legge, ci impediscono il riconoscimento di questo patrimonio: compito dell’educatore è unicamente farlo venire alla luce.
Luciano D’Abramo
[1] Il testo citato è anche opera di altri due autori : J. H. Weakland e R. Fisch ( Astrolabio, 1974)
[2] Vds “il codice dell’anima”, J. Hilmann- ed. GLI ADELPHI,2011