La cornice teorica per un modello scientifico sul funzionamento della terapia omeopatica – I parte
È fuor di dubbio che un vero e proprio riconoscimento da parte dell’establishment scientifico dell’omeopatia come cura efficace in diverse patologie, non potrà prescindere da una spiegazione – valida nell’attuale paradigma scientifico e riconosciuta nel metodo e nei risultati- dei meccanismi che sono alla base del suo funzionamento.
Si tratta – quindi- di individuare una fisiologia del rimedio omeopatico da inserire in un quadro coerente dei fenomeni fisico-chimici riconosciuti, analizzati e verificati sperimentalmente in ambito scientifico.
Ricordiamo innanzitutto i due principi basilari dell’omeopatia che sono:
- Il rimedio omeopatico è efficace sui sintomi “patologici” e sulle cause che li generano, presenti in soggetti malati quando lo stesso rimedio è responsabile della comparsa degli stessi sintomi, in soggetti sani.
- Il rimedio omepatico- quando preparato secondo un ben preciso protocollo di diluizioni e “scuotimenti” meccanici (dette succussioni)- manifesta la sua efficacia in modo inversamente proporzionale alla quantità di sostanza presente nello stesso.
In effetti questo secondo principio sembra essere in completa antitesi con una delle regole auree della medicina allopatica secondo la quale la dose di “principio attivo” è direttamente proporzionale- entro certo limiti dettati da parametri di assorbimento e tossicità del farmaco- all’effetto che si vuole ottenere. Così un antibiotico che prevede una posologia variabile da 1 a 3 compresse al giorno sarà somministrato nella dose massima in casi si infezioni batteriche più aggressive, che si manifestano quindi con sintomi più gravi, riservando la dose minima ai casi di minor virulenza.
Una spiegazione plausibile di questo fenomeno – ovviamente da dimostrare con opportuni test sperimentali- potrebbe essere fornita dalla teoria dei sistemi complessi detta anche teoria del caos.
Questa teoria è alla base del funzionamento dei cosiddetti “sistemi non lineari”, presenti in moltissimi comportamenti riscontrati all’interno degli organismi degli esseri viventi.
Osserviamo come prima cosa, che un sistema non lineare è un sistema fortemente dipendente dal valore delle grandezze in entrata al sistema stesso (input) mentre il risultato in uscita (output) non è proporzionale (in modo diretto o inverso) al valore dell’input.
Così mentre l’equazione canonica di una retta descrive un sistema lineare ( y=mx +q) un equazione del tipo:
y= kx (1-X) dove x può variare tra 0 e 1 e K è una costante qualsiasi, rappresenta un sistema non lineare.
Si vede subito, infatti, che, rispetto ad alcuni valori alla variabile x compresi tra 0 e 1, assegnando alla costante k il valore 3,la variabile y assume i valori:
x | y |
0 | 0 |
0,2 | 0,48 |
0,4 | 0,72 |
0,6 | 0,72 |
0,8 | 0,48 |
1 | 0 |
Da notare come il valore di uscita (y) subisce una vera e propria inversione di direzione quando la x passa da 0,6 a 0,8, passando da 0,72 a 0,48.
Come esempio delle innumerevoli funzioni non lineari svolte all’interno degli organismi viventi, basti pensare al funzionamento della cellula, la struttura più elementare in grado di svolgere in autonomia le funzioni base della vita, che può nutrirsi correttamente, eliminare le sostanze utilizzate e riprodursi solo se mantiene entro limiti ben precisi i suoi parametri di input, regolandoli attraverso le sue funzioni di controllo ( differenza di potenziale di membrana, quantità di ioni sodio/potassio all’interno del nucleo, concentrazione degli enzimi…).
Ad un livello macroscopico, possiamo osservare, sempre a titolo di esempio, che il cuore risponde a sollecitazioni esterne in modo abbastanza proporzionale solo se queste si mantengono entro certi limiti (accelerazione dei battiti in caso di sforzo di breve durata ) mentre una ulteriore richiesta di energia (ad esempio una lunga corsa) provoca una saturazione dei sistemi coinvolti che tende ad assestare i valori di output (battiti, numero di respiri) sui massimi possibili.
Questa caratteristica è tipica dei sistemi controreazionati ai quali si possono assimilare agli organismi viventi visti secondo diverse scale di osservazione.
Il fegato è un classico sotto-sistema complesso non lineare, controreazionato in cui, ad esempio, i livelli di colesterolo e di bile sono regolati da meccanismi interni di feedback.
La non linearità può dar luogo a diverse funzioni ma se aggiungiamo la condizione di controreazione, possiamo rivedere il sistema sotto osservazione come un meccanismo in grado di far oscillare i suoi prodotti di output intorno a valori che lo stesso identifica come normali, secondo una rigida programmazione funzionale, in grado di garantire la corretta condizione di omeostasi.
Del resto è sulla base di queste regole e leggi matematiche che si basa sistematicamente il medico quando legge i risultati delle analisi semplicemente verificando che il valore dei risultati rientra in range predeterminati, statisticamente validati “ a priori”.
La teoria del caos a questo punto può permetterci di descrivere- almeno in forma qualitativa- un sistema o sottosistema organico, attraverso le figure geometriche generate dai valori dei suoi parametri caratteristici; queste forme, pur avendo forme diverse, mostrano tutte dei punti di riferimento fissi ( o curve o insieme di curve) attorno ai quali oscillano, avvicinandosi od allontanandosi da essi in modo periodico e prevedibile matematicamente: sono i cosiddetti attrattori strani, individuati inizialmente da Lorentz (1996).
È noto anche da questa teoria che in certe condizioni limite, una piccola variazione del valore di uno o più dei parametri di ingresso al sistema, può far precipitare il sistema nel caos, ovvero in situazioni nelle quali gli output sono fuori del range di controllabilità da parte del sistema. Il sistema è diventato quindi instabile.
I punti in cui si verificano queste condizioni limite sono punti critici nei quali il sistema si apre verso nuove possibilità di evoluzione, verso il caos o altri punti di stabilità. Questi punti sono detti “punti di biforcazione”, proprio in virtù del fatto che la piccola differenza nei valori delle variabili, in prossimità di essi, genererà l’orientamento del sistema verso il caos o verso la stabilità. Stabilità che va intesa in modo dinamico perché caratterizzata da un flusso di energia necessario al funzionamento delle cellule e degli organi e, in definitiva, dell’intero sistema vivente.
Da notare che la traiettoria è percorribile anche in direzione inversa, nel senso che una piccola variazione dei parametri di regolazione del sistema in stato di caos, nel punto in cui questo si innesca, provoca un ritorno alla stabilità.
Concentriamo ora la nostra analisi sulla natura e sulla causa dei sintomi connessi ad uno stato patologico,perché è proprio da questi che parte- come sappiamo – l’applicazione della terapia omeopatica. Questi sintomi possono essere interpretati come “prodotti”, diretti o indiretti, di una difettosa regolazione del sistema non lineare connesso allo stato patologico (organo o più organi coinvolti). Così ad esempio l’infiammazione non deve essere, in questo caso, vista solo come un meccanismo di reazione vascolare spontanea in risposta all’azione dannosa di agenti fisici, chimici o biologici, ma come risultato di un sistema nel quale, a causa della variazione di alcuni parametri fisiologici (integrità dei tessuti, interruzione del flusso di alimentazione cellulare ecc.), i meccanismi di regolazione relativi a quel distretto non funzionano più correttamente.
Guardando all’instabilità cellulare come portatrice di un andamento caotico, in cui i parametri che regolano la fisiologia non assumono valori consentiti dal sistema, il ritorno allo stato “normale” ovvero di salute, può essere interpretato come un percorso “in senso inverso” che passa per lo stesso punto di biforcazione passando nel quale- nell’altra direzione- il sistema era divenuto instabile. Ma, ripetiamo ancora perché questo ci sembra il punto cruciale, la variazione dei parametri fisiologici che consente questo ritorno alla normalità può essere veramente piccola, proprio grazie al comportamento non lineare del sistema.
È dunque sensato ipotizzare che una sostanza in determinate dosi può far precipitare il sistema-bersaglio in uno stato instabile oppure lasciarlo nello stato in cui si trova, mentre in dosi molto limitate, corrispondenti alle piccole variazioni dei parametri critici, può facilitare il ritorno alla fisiologia “ normale”. Del resto nella farmacologia ufficiale sono note numerose sostanze che funzionano come inibitori in certe dosi mentre diventano potenti stimolanti in dosi eccessive.
L’ipotesi che possiamo fare a questo punto è che la patologia sia descrivibile come un sistema ( o sottosistema) caotico o pre-caotico in cui la stabilità che garantisce l’omeostasi ( o meglio l’omeodinamica, vista la forte variabilità delle grandezze in gioco) non è più assicurata.
Sembra quindi conseguente dedurre che una piccola variazione dei valori di sostanze chimiche individuabili come parametri di input è in grado – negli organismi rappresentabili come sistemi complessi – di indurre variazioni significative nelle grandezze in uscita ( valori di prodotti chimici o fisici), tali da ripristinare la corretta fisiologia dell’organo interessato.
Non sarebbe necessaria dunque una variazione macroscopica nei parametri di regolazione del sistema per ottenere un passaggio dall’ordine al caos e viceversa dallo stato di caos alla stabilità.
Queste considerazioni forniscono un plausibile background per un ancoraggio teorico in grado di spiegare l’efficacia di microdosi di una sostanza che, ove agente su punti particolari del funzionamento del sistema, permetterebbero il ritorno alla stabilità di un sistema caotico, identificando lo stato di caos con gli effetti della patologia in atto per quell’organo-bersaglio. Da notare, inoltre, che si sta prendendo in considerazione proprio la stessa sostanza (il simile di Hahnemann!) responsabile della instabilità del sistema, ovvero quella che provoca i sintomi che sottostanno ad essa. Sostanza che nel nostro approccio teorico viene rappresentata dai valori che, in un caso determinano il risultato patologico in output (sintomi) e nell’altro genererebbero, mediante un complesso sistema di autoregolazione, il ritorno ai valori fisiologici dell’output stesso del sistema-organo (eliminazione dei sintomi).
Nella descrizione del funzionamento di un organo ( organismo) come sistema complesso, diviene ancora più plausibile la considerazione che, sia nello sviluppo della patologia che nella guarigione, vengano interessati, dalla stessa sostanza responsabile nel produrre in condizioni diverse (salute – malattia) la stessa sintomatologia, gli stessi meccanismi di regolazione inerenti alle variabili fisiologiche proprie dell’organo (organismo).
Per approfondire la nostra analisi è necessario – a questo punto- effettuare un cambio di scala ovvero spostare l’ottica nei sottosistemi microscopici- primo fra tutti il mondo cellulare- nei quali hanno luogo variazioni anche minime- purché sotto determinate condizioni- delle grandezze deputate alla fisiologia della cellula.
Vedremo questi aspetti nella seconda parte.
Luciano D’abramo
Laureato in Fisica e studioso delle nuove frontiere della scienza, svolge attività di formazione in campo scientifico e di trasferimento tecnologico presso diverse strutture pubbliche e private
Autore del libro “Fisica & Psiche” ed. Il Minotauro