La malattia come manifestazione del Logos (1/3)
Abitudini alimentari, comportamentali, emozionali, relazionali, rivelano il modo di percepire la realtà, le reticenze, le costrizioni e le paure, le aspirazioni e le delusioni, che vanno ad affastellarsi nell’anima e nel corpo originando un insolito macigno dal quale in qualche modo sentiamo l’impellente necessità di liberarci. È qui, e ancor prima che il ‘grande sasso’ trovi la sua più palpabile consistenza, che la presenza del naturopata può rivelarsi realmente un prezioso contributo nella comprensione del disturbo fisico e offrire con i suoi strumenti e le sue competenze valide risposte di sostegno alla prevenzione.
La malattia è preceduta da un periodo in cui si mette in atto nell’organismo una dis-immunità, un discostamento dallo stato di equilibrio che ha spesso un’evoluzione lenta e può durare anche diversi anni prima di evolvere in patologia. È necessario comprendere che la malattia, e in special modo la malattia cronica, non rappresenta uno squilibrio ma la creazione di un nuovo stato di equilibrio – seppur patologico -, perché caratteristica base della natura di ogni essere vivente è la ricerca dell’equilibrio che, non dimentichiamolo, è sempre un equilibrio dinamico. I fenomeni biologici possono definirsi ordinatamente instabili, se l’ordine è necessario per mantenere nel tempo le caratteristiche delle strutture e delle funzioni, l’instabilità permette l’evoluzione. Per questo, tutti i sistemi di omeostasi dell’organismo sono finalizzati a mantenere uno stato di ordine e di equilibrio dinamico. L’ordine è forma e la forma permette lo svolgersi della funzione, così è nell’Universo e così nell’essere vivente (i cui organi hanno una forma che permette di svolgere la loro funzione):
Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
Nell’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro ve men vicine.
(Dante, Canto I del Paradiso, 103-111)
Se in un determinato momento il nostro organismo sceglie di deviare dal suo equilibrio è perché questa scelta è in qualche modo funzionale all’economia dell’insieme, del sistema.
Lo squilibrio, pertanto, si verifica prima dell’insorgere della malattia ed è durante questa fase che il Naturopata può rivelarsi determinante nel far luce sulle origini della disimmunità e far fronte alle disarmonie presenti a diversi livelli, al fine di riconquistare l’equilibrio dinamico grazie al quale l’organismo può tornare a svolgere correttamente le proprie funzioni. Mi preme sottolineare, tuttavia, che il percorso che la persona intraprende a fianco del Naturopata, si pone come obiettivo non quello di recuperare la salute precedentemente perduta, ingenua e disarmata, ma qualcosa di meno unidimensionale e di più complesso che potrebbe corrispondere a quel che lo scienziato e filosofo Georges Canguilhem nella sua Tesi di Dottorato del ’43, definì «nuove norme di vita»:
La guarigione è la riconquista di uno stato di stabilità delle norme fisiologiche. Essa si avvicina tanto più alla salute o alla malattia quanto più o meno questa stabilità è aperta a eventuali modificazioni. In ogni caso, nessuna guarigione è ritorno all’innocenza biologica. Guarire significa darsi nuove norme di vita, talvolta superiori alle precedenti. Esiste una irreversibilità della normatività biologica[1].
È evidente che si delinea una concezione della salute e della guarigione come processo dinamico, creativo, attraverso cui avviene la continua reinvenzione dell’organizzazione del ‘sistema’ che presuppone, a monte, la reinvenzione dell’organizzazione del Sé e della propria vita. Il Naturopata sembra in grado di assolvere l’ardito compito di traghettare l’individuo alla valorizzazione delle proprie potenzialità e a una visione sempre più unitaria di se stesso. Di accompagnarlo, insomma, a quella che amo definire una nuova dimensione creativa e, allo stesso tempo, a un diverso modo di manifestarla. La creatività rappresenta energia pura e contiene un’informazione che si manifesta: «Un potere molto importante delle forze creative è la loro tendenza alla manifestazione»[2].
Recenti mie ricerche, di cui ho avuto modo di introdurre alcuni concetti in un precedente articolo in questo magazine, hanno rivolto l’attenzione alla correlazione tra tali forze creative e l’emergere delle malattie autoimmuni nel momento in cui tali forze non trovano altre vie di manifestazione. Il tentativo è di tracciare percorsi possibili alla comprensione delle dinamiche biologiche, energetiche ed emotive che coinvolgono il funzionamento del Sistema immunitario e la comunicazione cellulare, e che concorrono all’emergere di questo tipo di patologie. La crescente loro diffusione non è spiegabile esclusivamente con il miglioramento dei metodi di esame e la conseguente facilità di offrire più opzioni diagnostiche, diviene necessaria una diversa prospettiva di indagine che volga lo sguardo alle complesse dinamiche che concorrono alla genesi di queste patologie, e della malattia in generale.
La teoria che intendo sostenere, di cui in questa sede mi limito ad accennare, è che le malattie autoimmuni, precedute da una fase di disimmunità, siano l’espressione dell’inibizione della libertà di espressione generata da un conflitto (Polemos) interno all’individuo e influenzato da cause interne ed esterne che incidono sulla corretta comunicazione cellulare. Tale conflitto trova nella malattia, vista come esplosione di energia in eccesso, il carrier per giungere in superficie, materializzarsi, liberarsi e manifestarsi attraverso il Logos, che rappresenta un livello più elevato dell’espressione umana.
Dolore e malattia, non di rado, sono l’espressione dello stato di disagio fisico, emotivo, energetico e spirituale che si genera negli angoli più oscuri della nostra coscienza. La disarmonia prima di materializzarsi nel corpo è vissuta nella coscienza. La disimmunità è la materializzazione della discordanza di voci che si genera all’interno della nostra coscienza, tale discordanza si riflette nel disordine delle nostre cellule perché il mondo interiore (microcosmico) tende a modellare il proprio comportamento su quello del mondo esteriore (macrocosmico)[3]. Il corpo, come ha dichiarato lo psicologo Thorwald Dethlefsen, non è mai malato o sano, in lui si esprimono semplicemente le informazione della coscienza: «La coscienza rappresenta l’informazione che si manifesta nel corpo e viene resa in questo modo visibile»[4]. Il sintomo è il linguaggio che il corpo utilizza per comunicare. Dethlefsen lo definisce un «segnale» che attira l’attenzione su di sé e interrompe la continuità della vita perché «mette in discussione tutta la normale esistenza»:
Il corpo non fa niente di sua propria iniziativa, cosa di cui ci si può facilmente convincere osservando un cadavere. Il corpo di un uomo vivo deve la sua funzionalità proprio a quelle due istanze immateriali che noi in genere chiamiamo coscienza (anima) e vita (spirito). […] La coscienza si comporta nei confronti del corpo come un programma radiofonico nei confronti di chi lo capta. […] Il corpo è quindi il piano di espressione e realizzazione della coscienza e quindi anche di tutti i processi e i mutamenti che avvengono nella coscienza[5].
Ancora, Roberto Assagioli, conferma: «Spesso la malattia è come una lente d’ingrandimento che fa risaltare certi fenomeni che nelle persone normali non sono altrettanto evidenti; […] In certe malattie l’inconscio viene alla superficie invece di restare in profondità»[6].
Ma è l’esistenza umana che determina la coscienza e a sua volta la coscienza influenza l’esistenza e lo fa, come ci ricorda Othon André Julian nei suoi approfonditi studi sull’omeopatia, tanto sul piano antropologico quanto sul piano socio-storico[7]. Qualunque supporto terapeutico per avere la sua efficacia necessita di quell’introspezione che tenga conto del microcosmo nella sua continua interazione col macrocosmo, e di una totale devozione a se stessi, alla propria Storia ed esperienza personale. È l’esperienza che accompagna a una presa di coscienza che permette di entrare nel mondo della certezza, che offre l’opportunità alla personalità di seguire i dettami dell’anima: «La vita non si innalza alla coscienza e alla scienza di se stessa se non tramite lo sviamento, l’insuccesso, il dolore»[8].
Maria Laura Gargiulo
[1] La Tesi di Dottorato porta il titolo Essais sur quelques problèmes concernant le normal et le pathologique (1943) poi pubblicata in G. Canguilhem, Le normal et le Pathologique, Presses Universitaires de France, Paris, 1966; trad. it. di D. Buzzolan, Il normale e il patologico, con una introduzione di M. Porro e Postfazione di M. Foucault, Einaudi, Torino 1998, p. 158.
[2] R. Orozco, Fiori di Bach. Principio Transpersonale e Applicazioni Locali. Territori Tipologici, Edizioni Centro Benessere Psicofisico, Torino 2021, p. 29.
[3] Per un approfondimento si rimanda agli articoli pubblicati in questo magazine.
[4] Thorwald Dethlefsen, Malattia e destino. Il valore e il messaggio della malattia, Edizioni Mediterranee, Roma 1986, pp. 18-19.
[5] Ibidem
[6][6] R. Assagioli, Psicosintesi per l’armonia della vita, Astrolabio Editore, Roma 1993, p. 18.
[7] Othon André Julian, Traité de Micro-Immunothérapie Dynamisée, Librairie Le François, Paris 1977; trad. it. La Materia Medica dei Nosodi. Trattato di Microimmunoterapia dinamizzata, a cura di Claudio Mazza, Nuova Ipsa Editore, Palermo 1996, p. 9.
[8] G. Canguilhem, Le normal et le Pathologique, Presses Universitaires de France, Paris, 1966; trad. it. di D. Buzzolan, Il normale e il patologico, con una introduzione di M. Porro e Postfazione di M. Foucault, Einaudi, Torino 1998, p. 171.