Il mio Battito – parte 2
La mia più grande paura
Tutto scorreva secondo un andamento così naturale, leggero, nel suo spazio mentre io cercavo di capire cosa stesse accadendo “in me” e fuori di me. Un feto non ha parole con cui esprimersi eppure crea un rapporto simbiotico con la mamma che impara ad ascoltarsi e ad accompagnarsi nella trasformazione psico-fisica passo dopo passo, giorno dopo giorno. Dove il verbo è assente i sensi si evolvono e sviluppano un forte legame con la parte istintuale, l’Amore esplode, l’immaginazione prende forme mai raggiunte e spesso la mamma riscopre una innata musicalità a cullare il suo bimbo. Il miracolo della Vita è già qui. Si ufficializza con la venuta al mondo ma è già qui! Come accennavo prima, il fulcro è tutto nell’ascolto di ciò che ci circonda ed io cominciavo a capirlo proprio grazie al mio bambino. L’inizio di un nuovo percorso comprendeva anche questo, per mia fortuna.: un cammino profondo dentro di me.
Per un po’ di tempo le basi del mio percorso sono state molto embrionali; sempre molto dedita alla mia passione per la Musica, lavoravo a Roma e fuori città, in un periodo vivace ed intenso. Intanto il tempo passava, tutto andava a meraviglia ma qualcosa mi mancava. Neppure oggi so dire cosa ancora; forse volevo fare, essere di più ma non sapevo come. Volevo sentirmi di più ma avevo la sensazione di essere ‘indietro’, di non trovarmi ‘centrata’.
Improvvisamente un giorno come un altro ho avuto una perdita considerevole di liquido amniotico. Ricordo quel momento, il terrore che mi aveva invasa, la corsa in ospedale e il ricovero immediato. Il test del pronto soccorso aveva dato esito positivo, confermando il pericolo di perdere il mio bambino. Ancora, in questo momento in cui scrivo, sento addosso la scia di quel freddo, di quando in un istante ho creduto di perdere tutto il mio mondo.
I medici non potevano nulla, il bambino era troppo piccolo per vivere fuori da me a sole 17 settimane. Nelle ore a seguire Madre Natura avrebbe scelto e noi avremmo soltanto dovuto attendere il suo responso.
Tutto era in bilico, non c’erano ‘perché’, era accaduto. Guardavo negli occhi di mio marito, non vedevo che vuoto. Era il riflesso dei miei occhi nei suoi, ero muta. Eravamo entrambi muti in un abbraccio senza tempo, cercando aiuto l’uno nell’altro, sostenendoci a vicenda in silenzio.
Attendevo che mi visitassero.
Nel reparto non poteva accompagnarmi nessuno.
Ero sola e mi sentivo sola.
Non ero più io. Ero chiusa in me, spenta e senza luce, lontana infinite galassie da tutto ciò che mi circondava. Cercavo solo il mio piccolo battito, il mio suono dolcissimo, il mio centro.
I prelievi, le domande, i moduli da compilare. Niente aveva senso in un tempo di attesa interminabile, avevo bisogno di quel battito in cui cullarmi e ritrovarmi. Pregavo e cercavo risposte che non giungevano, perché non ce ne erano, tuttavia io avevo bisogno di sentirmi al sicuro, di sapere che avrei protetto il mio bambino, sapere che sarei stata in grado di farlo; lui aveva bisogno di me e io di lui così stringevo a me la mia pancia e piangendo pregavo ancora.
Finalmente il turno della mia visita.
Percorrendo il corridoio del reparto potevo ascoltare i battiti di altri piccini e guardavo le mamme distese sui loro letti durante il monitoraggio e Dio solo sa il dolore e l’Amore che ho provato in quel momento. I miei piedi passo dopo passo si facevano molto pesanti, mi ascoltavo, mi ascoltavo dentro, ogni muscolo del mio corpo vibrava, pensavo “devi essere forte, fatti coraggio” e così imparavo pian piano a sostenermi da sola perché qualcosa di più grande di me aveva bisogno della mia Speranza.
Arrivata in stanza il medico mi chiedeva nuovamente di raccontargli l’accaduto. Ero in un tempo troppo dilatato e al contempo stretto e assillante; distesa sul letto, accarezzavo e scoprivo la pancia, tra il freddo del gel e i respiri del medico attendevo spaventata il mio piccolo battito. Eccolo! C’è! “Il tuo bimbo sta bene”. Di nuovo: “Il tuo bimbo sta bene” aggiungendo che la circostanza restava comunque molto incerta. Ricordo che non riuscivo a smettere di piangere, “pum pum pum” come sempre correva, “pum pum pum” la mia mente era lì: “Il tuo bimbo sta bene!”.
In un momento ho sentito il mio cuore all’unisono con il suo cuoricino. Ecco. Di nuovo stavo ascoltando! Eravamo UNO. Ed improvvisamente qualcosa mi ha fatto capire che quell’UNO non si sarebbe mai spezzato. Non so cosa sia stato e non so parlarne con chiarezza di immagine ma una forza mai provata prima ha cominciato a scorrere in me, una via lattea di energia ha consacrato quell’unisono: non avevo altra scelta che lanciarmi e credere.
E’ stato inspiegabilmente facile affidarmi e ho capito che io stessa non mi son data alternative, così ho raccolto i miei pezzi, le mie paure, li ho tenuti con me, accanto a me, perché erano parte di me. Ma ora la mia voce era sulla prua di una nave che aveva ritrovato la sua bussola: “Il tuo bimbo sta bene”. Il resto non aveva più peso, il resto era fatto di dettagli che non consideravo più importanti. Ormai ero molto concentrata su quella forza.
Mi visitavano 2-3 volte al giorno.
Non posso dire che non ero spaventata, no. I miei pezzi erano sempre lì. Ma l’universo mi tendeva la mano e io sentivo in me tutte le sue vibrazioni. La sua corrente mi guidava e io accarezzavo la mia pancia ora difesa.
Per quanto difficile sia da spiegare io mi ero ritrovata ad essere un microcosmo accordato. Io insieme al mio bimbo.
Capitolo 3: L’ascolto del mio mondo
In ospedale gli appuntamenti con il mio bimbo e il suo cuoricino erano scanditi sempre dai miei passi lenti e più leggeri lungo il corridoio, camminavo attenta come una sentinella, sorridendo al suono degli altri cuoricini del reparto e alle mamme in attesa. “Ecco, ancora pochi passi e tocca a noi”, pensavo.
Ci incontravamo, come fanno davvero due innamorati. In fondo è questo l’Amore. Lo sappiamo già, lo sappiamo da sempre, ed è’ questo che ci dona Madre Terra: l’ascolto! Un altro suggerimento che mi dava la Vita!
Il mio bambino e la mia rinascita
Il 31 dicembre del 2019 alle 16:30 di pomeriggio ho sentito il primo calcio del mio bambino.La pancia si era mossa, da lì dentro dove la Vita prendeva Vita, chissà cosa accadeva tra i miei muscoli e i miei organi e come si generavano le mie reazioni emotive.
Cominciavo a comprendere che per capire cosa c’è fuori di noi dobbiamo imparare a conoscere quello che c’è dentro di noi, perché è davvero /lì /l’origine di tutto.
Per questa ragione mi sentivo “indietro” prima: non mi conoscevo, non sapevo ascoltarmi, o non abbastanza almeno. Come se il ‘fuori’ avesse più credito, come se il mio ‘io’ venisse dopo.
Ma pian piano un nuovo punto di vista aveva cominciato a farsi spazio in me: il mio bambino aveva fatto fermare il mio tempo, la mia routine, le mie abitudini, il mio fuori, e mi stava insegnando a trasportarmi nel mio profondo.
Che strana la vita, sono stata allieva di mio figlio.
Quale dono immenso.
Da figlia, fortunata, ero arrivata a “capire la Vita” sino ad un punto. Da madre ho iniziato a ricevere le istruzioni per capire il resto. Così una volta tornata a casa dall’ospedale ho rimesso in discussione tutto, la priorità era il mio bambino e sotto continuo controllo medico ho sospeso la mia attività lavorativa mantenendo solo poche lezioni dal mio studio di casa.
E’ stato in quel momento che ho cominciato a voler approfondire alcuni aspetti che, pur di mio interesse, non ero mai riuscita ad esaminare.
Lavorando, e probabilmente non avendo ancora mai maturato la ragione opportuna, le mie domande restavano appese lì. Il mio vissuto, le mie emozioni provate sino a quel momento, di cosa erano fatte? Cosa era accaduto alla mia mente e al mio corpo? Come potevo osservarmi meglio e mettere a frutto la mia emotività?
Più che mai ora sentivo l’esigenza di prestare attenzione a questi e altri interrogativi. Effettivamente la musica mi era stata sempre accanto come una presenza ancestrale, costante e continua, a volte più a volte meno intensa ma sempre accesa. Attraverso di lei vivevo, mi emozionavo, imparavo, ascoltavo, sentivo. La chiave doveva essere lì. E così tornavo alla Musica per me e per il mio bambino e da lì ripartivo.
Il ruolo della Musicoterapia
Il termine “terapia” deriva dal verbo greco ϑεραπεύω ed ha il significato di curare, prestare attenzione, accompagnare e facilitare il percorso verso la guarigione.
Alla base di tutte le metodologie terapeutiche c’è la considerazione, l’osservazione, l’ascolto; e se nella Musica avevo sempre trovato una compagna di vita, nella Musicoterapia sentivo di poter cercare quegli elementi di studio che mi mancavano per indagare dentro e fuori di me. Il cuore del mio bimbo batteva come batteva il mio, il mio rispondeva al suo con emozione, i pianeti si muovevano nell’Universo e lui giocava nella mia pancia. Sentivo di essere un microcosmo in un macrocosmo, e quella forza improvvisa e potente nella stanza di ospedale era stato per me un ulteriore segno.
Partendo dal presupposto che tutto è vita, tutto è energia, ho così cominciato un viaggio con me e attraverso di me.
Mentre l’inverno si faceva primavera il mio canto e le mie emozioni hanno pian piano cominciato a prendere una nuova forma, i miei studi e i miei approfondimenti hanno dato spazio al mio io più profondo, la comprensione di molti aspetti prima sovrastati dalla meccanicità del quotidiano si faceva più fervente ed amplificata. La linfa in una foglia d’ulivo nel mio giardino, il mio respiro distesa sul divano a coccolare la mia pancia, i passi di mia madre e di mio padre, le gocce di pioggia sul terreno, le note del mio canto, il sorriso di mio marito. Non c’era più differenza. Tutto aveva un principio.
Un principio unico.
Aran è nato l’11 giugno del 2020 alle ore 00:01.
Il dono più grande. La gratitudine più profonda.
Conclusioni
Credo fortemente ci sia un suono primordiale dentro e fuori di noi che ci riconosce e attraverso il quale possiamo riconoscere noi stessi come esseri viventi appartenenti ad un Tutto. Ma per poterlo scoprire dobbiamo imparare ad ascoltare, come già detto.
Credo anche di esserne sempre stata consapevole in un modo o nell’altro, ho sempre sentito un richiamo dal profondo, ma non ero mai stata in grado di esaminarlo intimamente.
Il mio lavoro certamente mi aveva messo in condizione di prestare maggior attenzione ad alcuni aspetti ma restavo ancora in superficie, nonostante le mie percezioni.
Il mio bambino è stata la mia ispirazione, la mia guida, il mio suono primordiale, la mia riscoperta di me stessa. Lui mi ha fatto vedere. L’/intenzione/ mi ha concesso di scoprire i primi passi di un lungo viaggio.
Ponendoci in ascolto possiamo scoprire e man mano imparare a comprendere il linguaggio universale, inconfondibile, che unisce il Tutto; c’è, infatti, una corrispondenza ancestrale che lega tutto ciò che esiste e che suona – dunque risuona – ed è in equilibrio.
Il suono è il principio creatore di Tutto e se dal Tutto noi veniamo, il nostro suono, la nostra voce è essenzialmente energia, e come tale è vibrazione, dunque forza guaritrice.
Con l’acquisizione di questa consapevolezza non solo siamo in grado di porci e mantenerci in equilibrio e in accordo con noi stessi ma anche con ciò che ci circonda: un’opportunità preziosa.
Il mio giovane viaggio intrapreso appena poco più di un anno fa è e sarà vivo di coraggio, dedizione ed intenzione: quando conosco me stessa il mio suono si rivela capace, la mia voce una guida, il mio io presente ed in accordo: io mi pongo in ascolto, diventando uno strumento per me e per il mio prossimo.
Come scrisse Marcel Proust “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi”.
Ringraziamenti
In tutte le sue espressioni la Vita è mia maestra, la Vita ringrazio.
31.08.2021
Daria Simonetti