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La coscienza nel computer: il sogno dell’Intelligenza Artificiale

Lo sviluppo delle Neuroscienze e dell’intelligenza artificiale tra timori ed opportunità

Secondo gli  analisti del settore siamo nel mezzo di una nuova rivoluzione industriale, quella cosiddetta digitale, iniziata ormai da diversi decenni, ma che oggi trova un rinnovato potente  impulso  grazie all’interesse che scienziati e ricercatori mostrano verso due branche della scienza e delle sue applicazioni tecnologiche : le neuroscienze e l’intelligenza artificiale.

L’aspetto che colpisce fortemente l’opinione pubblica  è che, diversamente dalle precedenti, questa nuova “era”, sembra andare ad incidere non solo sui costumi e sulle abitudini dell’umanità, come fu per  l’avvento delle macchine e dei dispositivi elettronici, ma sul modo con cui la persona si rapporta nei riguardi delle conoscenze che si vanno via via a scoprire e ad approfondire e dei prodotti stessi che stiamo mettendo in opera.

Il motivo della particolare apprensione verso queste nuove applicazioni, che, nelle opinioni più diffuse sembra  superare decisamente le aspettative di un miglioramento delle nostre vite, va ricercato nell’oggetto originario specifico di queste nuove  ricerche ed applicazioni: la nostra mente.

Sì, la nostra mente, con tutte le sue funzione note e meno note, o, se vogliamo esprimerci in termini più materialisti, il nostro cervello, finora terreno di indagine di filosofi e psicologi ma scevro quasi del tutto dall’interesse di scienziati e ricercatori in termini di possibili creazioni di macchine che potessero essere suoi efficienti sostituti.

Va ricordato inoltre che anche  da parte di generazioni di illustri  rappresentanti delle cosiddette scienze umane, medicina inclusa, ci si è limitati fino a pochi decenni fa a cercare di comprendere il rapporto della mente con le altre funzioni corporee, secondo il paradigma accettato in Occidente della divisione tra corpo  e mente (Descartes. XVII secolo).

Per quanto riguarda l’interesse scientifico diretto verso la psiche, la prima grande innovazione fu introdotta da Freud e approfondita dai suoi successori  con la psicanalisi e le tecniche psicoterapeutiche;   questo ambito di studi però si è per molto tempo limitato soprattutto ad  individuare e possibilmente  rimuovere le cause all’origine di possibili disfunzioni organiche e comportamentali, in modo da  permettere alla persona una regressione dei disagi mostrati ed un maggiore adattamento alle regole sociali.

Senza dubbio la rivoluzione tecnologica e digitale, iniziata  dagli anni sessanta del secolo scorso, con la realizzazione di strumenti idonei allo studio  approfondito delle strutture elementari presenti all’interno del  cervello,   ha contribuito fortemente ad incrementare l’interesse verso  per una maggiore comprensione delle sue funzioni in rapporto  con   gli altri organi del corpo, permettendone una mappatura precisa e pressoché completa. Oggi possiamo sapere con estrema precisione cosa accade al resto del corpo se vengono inibite parti  specifiche, ancorché minime, della massa cerebrale e, in qualche misura e quando possibile, come procedere al  loro ripristino.

Ma, anche in questo caso, la parte elettiva della sua funzione ovvero la formazione dei pensieri che costituiscono il prodotto più importante in grado di condizionare  e determinare  le nostre vite,  è ben lungi dall’essere compreso. Come ha messo recentemente bene in luce il filosofo  David Chalmers un conto è spiegare quali sono le attività neuronali che si attivano in un certo processo cerebrale determinando uno stato cognitivo individuabile ( ad esempio veglia, sonno, attenzione, emozione ecc..) un conto è comprendere come e perché uno stimolo per un  individuo si traduce in una particolare esperienza da cui se ne tra una decisione ed azione mentre  in un altro opera in modo completamente diverso.

Si tratta, in altri termini, di  comprendere come mai stimoli analoghi e perfino identici producano effetti diversi in individui diversi: è il problema difficile della soggettività delle esperienze che si traduce nello stato che, pur nella sua ambiguità non ancora del tutto risolta, definiamo come coscienza.

Questo problema è considerato  cruciale all’interno delle Neuroscienze, che, dopo un primo avvio che ha visto l’impiego in ordine sparso di  ricercatori e studiosi appartenenti ai vari rami del sapere  interessati, procede in modo più organico con la costituzione di gruppi di lavoro composti da medici, fisici, biologi, filosofi, sociologi ed esperti di altre discipline, avendo superato, almeno come metodo di ricerca, il riduzionismo specialistico come modello di riferimento del progresso scientifico.

Sicuramente importanti passi in avanti verso la comprensione dei meccanismi alla base del funzionamento della mente e del cervello  sono  venuti dal perfezionamento della  strumentazione tecnologica che permette attualmente indagini precise e poco invasive[1], ma va sempre evidenziato il fatto che, citando Bateson, la mappa non è il territorio, ovvero che la rappresentazione delle strutture cerebrali e del sistema nervoso non esauriscono la conoscenza di come  si formano i pensieri e la nostra volontà di agire in un modo piuttosto che in un altro, in altri termini  il già citato problema essenziale della nostra coscienza soggettiva.

Diverse ipotesi sono state finora formulate per spiegare il fenomeno della coscienza, alcune delle quali chiamano in causa le leggi quantistiche che regolano i fenomeni atomici e molecolari a livello delle cellule nervose[2], ma le difficoltà oggettive di verificarne sul piano sperimentale la validità non sono ancora state superate neanche con le nuove  tecnologie.

Parallelamente allo sviluppo teorico delle neuroscienze, sostenuto come già accennato da metodiche tecnologicamente avanzate, si sta sempre più diffondendo la realizzazione di dispositivi in grado di emulare diverse funzioni caratteristiche del cervello umano: è il campo della  Intelligenza artificiale che, nella sua cosiddetta versione forte mira al raggiungimento di macchine in grado di replicare perfettamente l’operato di una mente umana.

Esiste anche una versione  debole nel campo dell’Intelligenza artificiale, che  trova applicazione nella progettazione e realizzazione di specifiche funzioni svolte dalla mente, quali  la capacità di prendere decisioni, la risoluzione di problemi  regolati dal  calcolo delle probabilità o da algoritmi  complessi ma senza avere la possibilità di  costruire comportamenti autonomi. In altre parole, la macchina viene istruita dall’esterno con precise istruzioni di calcolo e grandi quantità di dati la cui elaborazione rispetto al problema posto  ne costituisce l’ambito strettamente definito dal quale non può uscire. Proprio perché specializzate tali “macchine” sono diversissime tra loro ma ognuna può avere capacità, limitatamente alla specifica funzione per cui è stata progettata, enormemente superiori dal punto di vista dell’efficienza e della precisione a quelle di un uomo.

Una analogia calzante per comprendere la logica di  questo tipo di “artefatti” è quella di un‘auto che può correre ad una velocità diverse volte maggiore a quella di un atleta ma davanti ad uno scalino alto poche decine di centimetri diventa completamente impotente…..

Per poter definire meglio la differenza tra gli attuali computer dotati di grande potenza di calcolo e di capacità di elaborare grandi quantità di dati, inseriti in strutture meccaniche ed elettroniche che svolgono particolari compiti, e l’intelligenza artificiale, anche nella versione debole, dobbiamo però fare ancora un altro passaggio.

In questo ultimo caso,  infatti, i programmi presenti all’interno della struttura fisica sono in grado di modificare il loro comportamento sulla base dei dati che elaborano; in altre parole l’Intelligenza artificiale si addestra ed  impara dai risultati dei calcoli che svolge con gli algoritmi che le vengono forniti: il suo successo è assicurato dalla potenza e velocità di elaborazione, neanche minimamente paragonabile a quella di cui dispone il cervello umano.

Arriviamo ora  all’Intelligenza artificiale nella sua versione forte ( indicata  anche come  IA forte) definita, come  abbiamo già accennato, come quella posseduta da una artefatto in grado di “replicare l’operato di una mente umana” . L’ambiguità della definizione, tanto vaga nell’aspetto strutturale quanto enormemente ambiziosa nel suo scopo dichiarato,  sta dividendo il mondo degli studiosi interessati al tema, producendo numerose ed approfondite considerazioni e riflessioni da parte di numerosi scienziati e ricercatori che si occupano di neuroscienze.

Un’osservazione fondamentale che viene mossa al progetto di una Intelligenza artificiale forte è quella che non conoscendo, se non in minima parte, come opera la mente umana è impossibile creare una macchina che la emuli perfettamente.

Il problema cruciale nel quale si fondono le difficoltà delle neuroscienze e quelle dell’IA forte è indubbiamente quello della coscienza che, al di là di comprenderne come si generi all’interno della mente, permette di dare un significato alle esperienze vissute, generando, sulla base di questo significato le proprie sensazioni e le proprie risposte.  E’ sulla base di queste considerazioni che famosi scienziati come R. Penrose e, più recentemente, F. Faggin, e filosofi come J. Searle[3] sostengono la tesi che nessuna macchina creata dall’uomo potrà mai avere consapevolezza di sé stessa.

Sul fronte opposto, partendo dall’assunto che tutto è materia, e che anche le emozioni, i sentimenti, le sensazioni  sono riconducibili a reazioni fisico -chimiche,  non dovrebbero sussistere ostacoli insormontabili per arrivare alla costruzione  di una macchina senziente in grado di pensare ed agire come un essere umano[4].

Secondo questa ipotesi, che trova peraltro sostegno nella Teoria della complessità secondo la quale in un sistema complesso, le proprietà dell’insieme sono superiori alla somma di quelle mostrate da ciascuna delle sue parti, la coscienza sarebbe solo una proprietà emergente dalla interazione delle molecole  che compongono il cervello ed il sistema nervoso.

E veniamo quindi al nodo cruciale dell’IA forte. Se in un futuro, anche remoto, si arriverà a far sì che una macchina abbia le stesse capacità della mente umana, questo sarà possibile  soltanto immettendo in essa, oltre ad un’enorme quantità di dati, anche i significati che a questi dati noi umani attribuiamo loro e che costituiscono la vera sostanza delle esperienze che proviamo  e sulla base delle quali noi agiamo nel mondo.  Ma, come ci insegna  la psicologia del profondo, il significato delle nostre esperienze dipende direttamente dal valore che viene loro attribuito sulla base del nostro patrimonio genetico e della nostra elaborazione del mondo affettivo e relazionale con cui siamo venuti in contatto sin dalla nostra nascita.  Allora il punto è: chi decide quali sono questi valori che daranno le istruzioni per far agire questa  mente artificiale  in un modo piuttosto che in  un altro? Il teologo francescano Benanti,  presidente della Commissione sull’intelligenza artificiale per l’informazione  ha coniato a questo proposito il termine “algoretica “ che unisce oltre al sistema sofisticato di algoritmi computazionali per far funzionare questa intelligenza anche un insieme di esperienze che  esprimano i valori etici che ne costituiscano il substrato motivazionale per le sue decisioni e azioni.

Come riflessione finale vogliamo ricordare che le più importanti scoperte scientifiche che hanno costituito innovazioni profonde nella storia della conoscenza del mondo, sono avvenute quasi per caso, mentre si stava facendo altro[5]: un invito, quindi, a spaziare con mente libera e creativa esplorando i vari campi del sapere, sperimentando e confrontandosi ed operando in sintonia con tutti coloro che affrontano questi temi, improntando il proprio lavoro ai principi irrinunciabili di etica, rispetto degli organismi viventi e più in generale dell’ambiente  naturale, operando per il progresso ed il miglioramento delle nostre condizioni di vita.

Prof. Luciano D’Abramo


[1] Si riferiamo qui in particolare alla metodica SPECT, per l’indagine cerebrale e alla fMRI, la risonanza magnetica funzionale

[2] Per una trattazione completa si veda l’articolo di A. Vannini “Modelli quantistici della coscienza”, pubblicato sulla rivista Syntropy-I (pag. 29-48);2007

[3] Per approfondimenti in merito alle tesi sull’IA forte, si possono leggere, trai molti scritti sull’argomento, i libri:

  • “Le ombre della mente” di R. Penrose,
  • “ Irriducibile “di F. Faggin,
  • ”Intelligenza artificiale  e pensiero umano” di J. Searle

[4] Uno dei più celebri sostenitori di questa tesi è il filosofo americano D. Dennett

[5] Ricordiamo, a  solo titolo di  esempio, il famoso “Eureka” di Archimede, la famosa mela caduta dall’albero vicino a Newton e la scoperta della penicillina da parte di Fleming..

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Luciano D'Abramo

Laureato in Fisica con lode all’ Università “La Sapienza” di Roma nel 1974, ha svolto per molti anni la sua attività professionale nell’ambito della progettazione e realizzazione di grandi Sistemi Informativi, principalmente per Enti pubblici quali la Ragioneria Generale dello Stato ed il Ministero dei Beni Culturali. Particolarmente interessato, sin dall’età giovanile, alla ricerca di una possibile sintesi tra le varie discipline scientifiche, oggi ancora troppo frammentate, ha pubblicato nel 1998 il libro “Fisica e Psiche”, trovando possibili collegamenti ed analogie tra le relazioni interpersonali e le leggi della fisica. Dal 2002 svolge interamente la sua attività professionale alla progettazione ed alla erogazione di corsi presso scuole ed istituti superiori ed universitari su materie scientifiche. Fa parte, sin dalla sua costituzione del corpo docenti e del Comitato Scientifico della Scuola di Naturopatia Borri ora Campus FRAMENS, per la quale svolge seminari e corsi di Biofisica, con particolare riferimento ad argomenti di ricerca di frontiera sulle leggi e le teorie della Fisica applicate ai sistemi viventi, riconducibili alle tecniche ed alle metodiche della medicina naturale.