La china: una pianta antica per malattie moderne?
In questi giorni in cui una speranza nel trattamento del coronavirus sembra arrivare anche dalla clorochina e da suoi derivati (fermo restando le dovute procedure di validazione del trattamento) non possiamo non ricordare la china, il rimedio storico da cui derivano.
Già il Codice Farmaceutico Romano del 1868 citava la China China:
“La droga, di cui siam per trattare, è forse la più importante materia medicinale di quante ne conta l’arte salutare, poiché non vi ha sostanza medicamentosa in natura, di cui si possa esser tanto certi della efficacia, quanto di questa nel debellare le febbri accessionali e singolarmente perniciose, che per lungo tempo menarono tanta strage della vita degli uomini portando spesso la desolazione in molte contrade nominatamente d’europa. (…) Il vocabolo china china, che anche al presente ritiene, deriva dal doppio vocabolo peruano kina kina, che nella nostra lingua vale “scorza delle scorze”, quasi si volesse con ciò significare, esser tanto preziosa questa scorza di albero pel bene che produce all’umanità, che merita esser qualificata come la scorza per eccellenza tra le scorze di tutti gli alberi”.
Vengono poi citate, con dovizia di particolari, molti tipi di droghe commercializzate come china, diverse delle quali probabilmente scomparse; vengono anche illustrate svariate chine false, non officinali e mancanti dei principi attivi.
Più avanti in modo preciso si distinguono gli usi dei differenti tipi di droga: “La china poi, data in sostanza ovvero in decotto, opera essa stessa in più maniere, cioè come antipiretica, come tonica eccitante, come mezzo antisettico, ecc.; ma secondo la diversa specie a cui essa appartiene, diversi essendo e diversamente modificati i principii che la costituiscono, devesi con discernimento impiegare nella cura de’ morbi. Ond’è che trattandosi di febbre accessionale, la calissaia è è sempre da preferirsi, come quella che trovasi più ricca del principio antifebbrile, come già osservammo; la china grigia sarà da preferirsi in tutti quei casi in cui vuolsi produrre una tonicità nelle fibre nervose e muscolari, poichè in essa sovrabbonda il rosso cinconico ed il tannato chinico a ciò adattissimi. La china rossa e la pitaia, in cui riunisconsi questi principi in dosi sufficienti, si trovarono indicate in ambedue i casi qui sopra considerati. Non parliamo delle dosi e del modo di amministrare, la china, poichè ciò ha relazione colla qualità e intensità del morbo, e colle qualità delle persone malate, col clima del luogo in cui queste vivono e con altre circostanze. (…) E’ ormai a tutti noto che per guarire le febbri si adopera piuttosto la chinina e i suoi derivati che non la china in polvere”. Viene ulteriormente distinta dalla China dolce (Smilax China) che “fu stimata assaissimo presso gli antichi per debellare le affezioni cutanee e segnatamente le sifilitiche ma a’ giorni nostri (…) si giudicò dotata più di virtù nutriente che antivenerea e depurativa.”
Lo stesso testo, più avanti, dedica ampio spazio alla chinina ed ai suoi sali (acetata, solfotartrata, anisata, arseniata, citrata, cloroidrata, ferrocianata, lattata, valerianata), alla cinconina, la chinidina (breve cenno), la chinoidina, la chinoleina, la cinconicina, la cinconidina, la chinicina.
Il testo del 1933 “Piante medicinali e loro estratti in terapia” del dottor C. B. Inverni analizza approfonditamente la corteccia di china come rimedio tonico, febbrifugo (soprattutto nella malaria), stomachico, astringente intestinale.
Parlando dell’azione fisiologica si afferma che abbassa la concentrazione urinaria di certe sostanze (es. urea, cloruri) mentre cresce il livello dei fosfati.
A dosi eccessive, si ricorda, può dare nausea, vomito, secchezza delle fauci, stipsi e gastro-enteriti.
Il sapore può essere corretto da liquirizia, anice verde, arancio amaro.
Vengono citati vari tipi di preparati a base di china: estratto fluido F.U. V (5 % in alcaloidi), estratto fluido solubile in acqua, estratto fluido detannizzato, estratto acquoso molle, estratto idroalcolico secco F.U. V, estratto fluido comp. per elisir, riportando varie formulazioni interessanti come
Tintura di china composta
- china e. f. gr 25
- arancio amaro e. f. gr 3
- genziana e. f. gr 2
- cannella e.f. gr 1
- alcool a 60° gr 50
Nel 1962 ritroviamo la China nel fondamentale trattato di R. Benigni, C. capra e P.E. Cattorini “Piante medicinali: chimica farmacologia e terapia” (Inverni & Della Beffa Milano). Ivi troviamo che:
“La droga e i suoi preparati galenici vengono usati soprattutto per le le loro proprietà amaro-toniche ed eupeptiche, atte a provocare aumento dell’appetito, della secrezione salivare e gastrica, della motilità gastrointestinale o della funzionalità epatica, azioni queste che vengono però inibite alle dosi elevate.”
Su modelli animali sono state evidenziate le azioni anestetica ed analgesica; inoltre sembra potenziare gli effetti depressivi e sedativi sul sistema nervoso centrale esercitati da altri farmaci.
L’effetto ipotensivo (non chiaramente dimostrato per chinina e chinidina) sarebbe legato ad una azione simpaticolitica.
Curiosa l’indicazione della chinina nella possibile cura della vertigine vestibolare (Curschmann); in base a evidenze sperimentali gli eventuali effetti lesivi vestibolari sarebbero comunque reversibili.
L’azione oxitocica, eventuale (evidenziata chiaramente in modelli sperimentali), variabile a seconda della concentrazione, condurrebbe a contrazioni comunque non in senso ecbolico (come da segale cornuta) e quindi meno pericolose per cui alcuni autori ne avrebbero suggerito l’uso nel favorire il travaglio ed il parto (Martin, Andreas).
Evidenziata sperimentalmente anche un’azione anticolinesterasica che potrebbe spiegare l’osservazione di certi effetti positivi mostrati in pazienti con parkinsonismo grave (Kidron); risulta ridotta l’eccitabilità delle giunzioni neuromuscolari ed aumentato il periodo refrattario del muscolo che potrebbe trovare applicazione anche in altre patologie come la miastenia congenita, torcicollo, ecc.; in questo senso può essere interpretata anche la nota azione positiva esercitata dalla chinina sulla pertosse, forse in grado anche di prevenirne le complicazioni broncopolmonari (Deutelmoser).
Vi sarebbe anche un certo effetto antipneumococcico, riscontrato soprattutto per altri alcaloidi presenti nella china (Kemkes).
L’azione irritante locale può spiegare certe sue proprietà sclerosanti.
L’assorbimento orale sarebbe rallentato da un ambiente intestinale alcalino, soprattutto in assenza di adeguata secrezione biliare.
Presente ancora in F.U.I. 1991 (come Cinchona succirubra).
La droga è la corteccia di diversi alberi della specie Cinchona (Rubiacee) come C. Ledgeriana, C. Calisaya, C. Officinalis, C. Succirubra (circa cinquanta specie utili), originari del Centro e Sud America ed ormai estesamente coltivati in quasi tutti i continenti.
Va considerato che gli alcaloidi si trovano anche in altre parti della pianta come le foglie.
La C. Ledgeriana (da Carlo Ledger che introdusse la china in Oriente), più ricca in principi attivi (4-17 %), viene spesso innestata sulla C. Succirubra, più resistente ed a crescita più rapida, tuttavia la pianta è oggetto di molti incroci per ottimizzare la produzione; la C. Calisaya è quella, mediamente, meno ricca di alcaloidi (0-6 %).
Il livello di principi attivi (alcaloidi) cresce con l’età, per cui si attende almeno 8-10 anni per la raccolta. L’albero ama i terreni collinari-montani, piovosi e clima caldo umido.
Le sue tradizionali proprietà febbrifughe sono note fin dal ‘600 grazie ai missionari Gesuiti (da cui il rimedio “polvere dei gesuiti” o “polvere peruviana”) mentre il nome della specie deriverebbe dalla contessa di Chinchon (moglie del vicerè del Perù).
La chinina fu scoperta solo nel 1820 e sintetizzata nel 1944.
La droga subisce un essiccamento rapido ma a temperature non troppo elevate per evitare l’alterazione degli alcaloidi.
Commercialmente si distinguono tre tipi di droga, destinate o all’uso medicinale (> 6 % alcaloidi) o all’uso alimentare:
- china gialla es. da C. ledgeriana (utile all’estrazione degli alcaloidi) e C. calisaya, spesso in pezzi più grandi
- china rossa es. C. succirubra: si tratta dell’unico tipo di droga considerata officinale in Italia (nella F.U.I. VI era officinale anche la china gialla)
- china grigia es. C. officinalis.
Spesso a causa dei frequenti ibridi l’aspetto della droga è molto variabile.
Si tratta di un rimedio amaro-aromatico (il sapore amaro è percepito a bassissime concentrazioni) astringente che contiene acido chinico (4-8 %), clorogenico, caffeico, protocatechinico tannini come l’acido cincotannico e flabotannino, combinati con gli alcaloidi glicosidi (chinovina) olio essenziale, resine, steroli, cere glucidi sali inorganici, silice, ossalato di calcio.
Gli alcaloidi hanno un nucleo chinolinico e chinuclidinico (o biperidinico) connessi da un gruppo alcolico secondario con diversa stereoisomeria (l- e d- isomeri).
i principali alcaloidi, il cui tenore varia a seconda dell’ambiente, dell’età e della parte della pianta, sono chinina (dominante nella C. ledgeriana e calisaya) e chinidina, i derivati demetossilati in 6′ (cinconidina e cinconina, attivi ma non impiegati in terapia), noti anche altri alcaloidi minori come chinicina, dicinconina, cinconicina, cinconammina, paricina, chinamina, conchinamina, cincomina, epichinina, epichinidina, javanina, cincofillina, alcuni con nucleo indolico (es. chinamina).
Oltre che in aperitivi ed amari eupeptici la china è presente in cosmetici (come astringente-antisettico locale) vanno considerati gli effetti di chinina: antimalarico (schizonticida ematico), antimicotico, modesto analgesico-antipiretico ed antiinfiammatorio, anestetico locale, depressivo dell’eccitabilità, della contrattilità e della conducibilità del miocardio chinidina: soprattutto antiaritmico (inotropo negativo) e più modesto antimalarico.
Viene anche esercitata un’azione depressiva sul snc (previa leggera eccitazione) e sul metabolismo glicoprotidico (stimola la secrezione insulinica e tende a dare ipoglicemia), un modesto effetto ossitocico e decontratturante curaro-simile.
Probabilmente l’effetto antipiretico dipende da un’azione vasodilatatrice periferica.
L’azione analgesica non presenta particolari vantaggi rispetto ai classici antiinfiammatori fans.
Il sapore amaro stimola la secrezioni per via riflessa partendo dalle terminazioni gustative dei nervi glosso-faringeo e trigemino.
Nella malaria l’estratto è stato quasi completamente sostituito da preparati di estrazione/sintesi come chinina e clorochina (ancora oggi utili nel combattere ceppi di plasmodium clorochina resistenti); l’azione sembra dipendere da chelazione del DNA del parassita e interferenza nella trascrizione e replicazione dell’acido nucleico alterazioni della emoglobina incremento del pH nelle vescicole intracellulari del parassita Vi sarebbe anche l’inibizione di vari sistemi enzimatici per cui è stato definito un veleno protoplasmatico generale.
Nella F.U.I. VI si citavano come preparazioni decotti, estratti, estratti fluidi, sciroppi, tinture.
Possibili effetti indesiderati (la dose letale è comunque piuttosto elevata e oltre 8 grammi in un adulto), solitamente reversibili, a livello soprattutto di cute (reazioni allergiche, iperidrosi e arrossamento) apparato gastrointestinale (crampi addominali, nausea, vomito, diarrea) vestibolare (ronzio, vertigini, sordità) oculare (disturbi visivi, possibili danni alla retina ed al nervo ottico) sistema nervoso centrale (sonnolenza e, nei casi gravi, cefalea, delirio, convulsioni, paralisi, collasso, coma) circolatorio (allungamento QRS, alterazioni del ritmo cardiaco, ipotensione).
Inoltre vanno considerati effetti irritanti locali, emolisi (ed altre alterazioni della crasi ematica), insufficienza renale (specialmente in soggetti carenti in G6PD o nell’uso prolungato), neurotossictà (soprattutto a livello gangliare) ed azione teratogena.
Comunque il rapido metabolismo ne limita l’azione nociva.
Circa l’80 % della chinina si lega alle proteine plasmatiche, mentre la t/2 è di circa 10 ore (ma può aumentare in soggetti malarici); circa l’80 % della chinina è metabolizzata dal fegato e l’escrezione è favorita dalla acidificazione delle urine (es. da cimetidina).
Possibili interferenze con digitalici, anticoagulanti e bloccanti neuromuscolari.
Da evitare in gravidanza, in affetti da patologie vestibolari, oculari, renali, cardiopatie, favismo o miastenia grave.
Anche in omeopatia la china regia è un importante rimedio in caso di astenia, convalescenza, anemia, inappetenza, perdite ematiche, disturbi della digestione (comprese quelle dovute alle intolleranze alimentari), con gusto amaro in bocca e distensione addominale febbri e forme dolorose periodiche (es. cefalea pulsante) mestrui anticipati con perdite scure, accompagnate da pallore e svenimenti sudorazione profusa aggravata dal movimento sovraeccitazione e difficoltà nel riposare.
Dott. Claudio Biagi